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Il catenaccio è esattamente quello che le donne dovrebbero fare

Torna il campionato e nel frattempo ci si reca alle urne per l’ennesimo referendum, più che un weekend è un riassunto di circa settant’anni di Repubblica italiana. Ma la costituzione e la Serie A sono ancora o sono mai state le più belle del mondo? 

Proprio del bello si è parlato a Verona nei giorni scorsi al “Festival della bellezza”, una kermesse di personaggi illustri, da Baricco a Mogol passando per Sgarbi e arrivando a Buffa, riunita nei suggestivi luoghi che ispirarono Shakespeare, per parlare di eros, desiderio, musica ed estetica.

Tanti i volti noti ma nessun profilo femminile, ma “Perché?” si chiede Chiara Valerio, alfiere della protesta, parlando da un piccolo palco allestito in Piazza Bra venerdì pomeriggio mentre, poco lontano, andava in scena lo spettacolo di Alessandro Baricco.

L’interrogativo, purtroppo, non è rimasto in sospeso per molto. Gli organizzatori hanno prontamente fatto sapere che le molte ospiti che erano state invitate non se la sono sentita di raggiungere Verona in un periodo difficile, avevano paura, volevano salvaguardare la loro salute. Una risposta semplicemente priva di logica dal momento che, le donne non solo sono state statisticamente meno colpite dal Covid ma in piazza si son presentate comunque. Ecco, è proprio quando la logica abbandona il campo che il confronto si accende, come i blu contro i rossi sul tavolo del calcio balilla, succede in politica per il sì e per il no, in campionato e anche al festival della bellezza.  

Con questa risposta gli organizzatori decidono infatti di entrare in campo nella stessa squadra di Morgan, del giudice di Milano per il quale la disinibizione è un’attenuante allo stupro e anche di quella vicepreside di Roma secondo la quale se cade l’occhio la colpa è della gonna, mica dell’occhio. In questa squadra la strategia di gioco è semplice: per non saper né leggere né scrivere la colpa è delle donne

Nell’altra metà del campo, nonostante la preparazione atletica di una sola settimana, Michela Murgia, Chiara Valerio, Giulia Blasi, Maura Giancitano, Federica Cacciola e Vera Gheno decidono di presentarsi in campo agguerrite e convinte che la colpa, magari sarà di quel solito cornuto dell’arbitro, ma di sicuro non è la loro. 

È una partita di cartello quella tra chi difende i diritti delle donne e chi, finanche per consuetudine, non li considera. Non è uno scontro frontale maschi contro femmine ma una guerra di movimento. La tattica migliore per affrontarla la suggerisce Chiara Valerio (minuto 2:00:40) : “Un po’ di catenaccio all’italiana tra le femmine, forse bisognerebbe un attimo farlo”. 

Con l’inesperienza in panchina di Pirlo, ma con la sua stessa visione di gioco, Chiara Valerio centra il punto. Il catenaccio è esattamente quello che le donne dovrebbero fare, per una serie di validi motivi che cercheremo di spiegare.

Un passo indietro

Fare catenaccio è innanzitutto fare gioco di squadra e una squadra, si sa, è fatta di tanti elementi, tutti estremamente diversi. Quando bisogna difendere non importa che tu sia centravanti rapace d’area o mediano, la trincea spetta a tutti. Proprio questa è la rivoluzione tricolore: si sfoltisce la mediana con un centrocampista che si abbassa fino a marcare la punta avversaria e si fa indietreggiare ancora di più il centrale che diventa un libero, nella terra di mezzo tra i compagni e il portiere. Mettersi a disposizione degli altri significa rinunciare al privilegio della vicinanza alla zona gol ma non annullarsi, anzi, è un po’ farsi ingranaggio di un meccanismo più grande che fa girare una squadra intera e che, prima o poi, ti ci riporta davanti alla porta per calciare. Di questo c’è bisogno tra le donne, di solidarietà e di scalare indietro per permettere a chi è poco rappresentato di salire e occupare spazi che merita di occupare indipendentemente dal genere, dalla provenienza e dal Dio in cui crede. Se ognuna invece fa il suo, se ci si divide, se non si collabora, non si può pensare di andare in gol.

Una tattica per chi sa soffrire

Il segreto del catenaccio sta proprio nella pazienza di aspettare e nella capacità di soffrire, caratteristiche che non a caso descrivono perfettamente gravidanza e travaglio. La difficoltà invece sta nel mantenere la lucidità. Le occasioni di attaccare in novanta minuti possono essere davvero poche, e le poche che si presentano vanno sfruttate e finalizzate, perchè potrebbero non presentarsi più.

La storia delle donne è una storia di resistenza ad un assedio, chiuse in casa, angeli del focolare, con poche, pochissime occasioni di potersi affacciare alla società. Una contropiedista di lusso nel campionato francese del ‘500, quando ancora non vinceva sempre il Lione, è Caterina De Medici. Un’occasione ebbe e la sfruttò: da protetta fiorentina fuggita dalle angherie dei potenti divenne una delle più influenti sovrane di Francia. Cinquecento anni dopo ci fa ancora strano immaginare una donna alla casa Bianca, al Quirinale, a Downing Street nonostante “God Save the Queen da secoli”, su un campo da calcio, al bar, su una moto e pure in Arena.

Ci si potrebbe chiedere se sia necessario soffrire così tanto per ottenere un diritto e la risposta è sì, è necessario ma non è giusto. E soprattutto, è necessario perché la partita è impari. 

Una strategia per chi non sa giocare

Il catenaccio nasce quindi come strategia per squadre con risorse limitate, che cercano di compensare lo scarto tecnico e atletico con quelle più forti. Ma guai a parlare di sfavoriti. Oltre a sofferenza e lucidità, per una buona riuscita del catenaccio serve furbizia. Quando ci si presenta di fronte ad una squadra più forte, scegliere di fare una partita difensiva significa tutt’altro che avere un atteggiamento rinunciatario. Sbilanciarsi è esporsi ai pericoli, e stare sulla difensiva significa essere consapevoli del fatto che, quando un dislivello di potere esiste, giocare a viso aperto spesso non paga come resistere a testa bassa e farsi trovare pronti al momento giusto. A volte però, si gioca sulla difensiva solo perchè si è poco consapevoli dei propri mezzi e si finisce per credere all’avversario che dalla notte dei tempi ritiene la tua una squadra di ciabattari. Con il tempo però, può capitare di rendersi conto che chiudersi sempre sia un limite imposto e che certe superiorità posso logorarsi ed allora bisogna essere abili ad adattarsi perché sì, gli uomini sono Roberto Baggio, da sempre considerati migliori, le donne Dino Baggio, sempre e solo uno che si è trovato lo stesso cognome, ma la vita è la Coppa UEFA e Dino ne ha tre e Roberto una.

Per spostare il pullman dalla porta, serve un bravo autista

In parole povere il pullman davanti alla porta va piazzato quando serve e spostato quando non serve, ci vuole un autista capace. Certo, è ovvio che un conto è un pullman di linea, dove il conducente sta nel suo gabbiotto e non ci si può parlare, e un conto il quello che ti porta in gita al liceo con l’autista che ti lascia il microfono per far partire cori. Ecco il primo è il centravanti isolato che la palla la vede sempre vicina alla sua porta, il secondo quello che partecipa alla manovra, tiene palla e fa salire i compagni, orchestra il contropiede. Un po’ come le suffragette che non senza difficoltà hanno provato a far salire la squadra quando hanno capito che l’inerzia della gara stava cambiando e alla fine hanno depositato la palla in rete. Ma il vantaggio, si sa, va mantenuto, ed essere competenti è l’unica vera arma che abbiamo a disposizione.

Qualcuno dice che il canto del cigno del catenaccio sia stata la Champions del ‘69 vinta dal Milan sull’Ajax. Da lì nel mondo iniziano a succedere un sacco di cose, i Queen, il golpe in Cile, Watergate e, in Italia, Nilde Iotti. Diventare presidentessa della Camera la prima volta è il coronamento di un’audace azione di contropiede, restare in carica per tre legislature però significa avere il pallino del gioco.

Non è più tempo di attendere dietro la linea della palla, alle donne tocca anche comandare in campo. Però, come spesso succede, una tattica può diventare prevedibile e lasciare spazio alle novità. Così negli anni ‘70 il catenaccio si è visto scavalcato dal calcio totale dell’Olanda di Michels e Cruijff, si è visto messo da parte, quasi completamente dimenticato. Eppure alle donne può tornare ancora utile, usato con pazienza, lucidità e furbizia, senza disdegnare la sofferenza e usando la sfrontatezza dell’arrembaggio, nell’attesa del momento in cui l’Arena non sarà più celeste o rosa ma una per tutti, magari arancione. 

Il catenaccio è la soluzione più logica, e il perchè lo sottolinea anche Maura Giancitano quando dice “E anche se ci sono stati dei tentativi di spiegare perché comunque questa cosa andava bene lo stesso e comunque ne valeva la pena, questi tentativi sono stati veramente delle arrampicate sugli specchi. Sono state mancanze di opportunità per aprire un dibattito in questo paese. […] E’ un paese che non ha voglia di parlare, non ha voglia di capire, non ha voglia di creare uno spazio pubblico ed è faticoso continuare a cercare, nonostante tutto, di dire sempre le stesse cose per cercare di aprirlo quello spazio pubblico. E quindi l’abbiamo dovuto costruire questo spazio perché altrimenti non ci sarebbe stato dato.’’

Ora questo spazio c’è, abbiamo occupato bene il campo con le parole, dobbiamo solo continuare a far girare la palla.

Giulia Beghini
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