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L’esperienza di Rood: il calcio come strumento per cambiare il mondo

Katie Rood si fa attivista per raccontare la sua esperienza professionale e come questa si intreccia a battaglie sociali quali parità, veganismo e ambientalismo

Le tifose e i tifosi italiani la conoscono bene: Katie Rood ha vissuto nel nostro Paese (più precisamente a Torino) durante la stagione 2017/18, quando indossava la maglia della Juventus. Chi ha avuto la fortuna di incontrarla saprà che di lei colpivano anche e soprattutto la sua simpatia e gentilezza nel pre e post partita. Ed effettivamente Rood è molto più di una calciatrice e ha molto da esprimere e comunicare anche fuori dal campo.

Anche grazie ai social, da anni Katie cerca di sensibilizzare i suoi tifosi e followers su quelle che sono le tematiche che più le stanno a cuore: parità di genere, giustizia climatica e veganismo.

Per quanto riguarda la giustizia climatica, è doveroso menzionare Extinction Rebellion, movimento nato nel Regno Unito in risposta alla crisi del cambiamento climatico, presente e attivo ormai anche in diverse città italiane. Rood sostiene da tempo questo movimento e ha preso parte attiva alle numerose iniziative portate avanti in Inghilterra.

Katie Rood con la Juventus

Oltre a fare attivismo attraverso i social e la divulgazione in senso ampio, infatti, Rood usa soprattutto uno strumento che è forse fra i più efficaci: si mette in gioco in prima persona, portando la sua esperienza come esempio e punto di riferimento, facendo in modo che ogni sua scelta per quanto riguarda la sfera personale e professionale vada a sostenere, anziché contraddire, tutte le sue battaglie sociali.

È sicuramente anche per questo che ha accettato di giocare nel Lewes FC, che sappiamo non essere un club qualunque, bensì il primo al mondo a stanziare esattamente un’egual misura di fondi per la squadra maschile e per quella femminile.

Ed è sempre per questo che racconta sempre volentieri la sua scelta di diventare vegana e l’influenza che quest’ultima ha avuto sulla sua vita – personale ma anche professionale.

Come ha rivelato anche in una recente intervista per The Guardian, infatti, il passaggio da una dieta onnivora a una dieta vegana ha completamente rivoluzionato il suo modo di vedere il calcio e soprattutto ha portato un grande miglioramento dal punto di vista della prestazione fisica.

Nei cinque anni precedenti a questa svolta, Rood dice di aver avuto infortuni continui:

“Quando finivo le partite la domenica avevo i cuscinetti termici sulle spalle, gli impacchi di ghiaccio sulle caviglie, il lunedì mi svegliavo e mi sentivo uno zombie. Diventava difficile alzarsi dal letto. Invece dopo due settimane senza carne, uova, latte e derivati, la mattina schizzavo immediatamente in piedi. Mi sentivo una persona nuova. Capii che prima avevo infiammazioni dappertutto, mentre in quel momento le infiammazioni erano sparite.”

Effettivamente, Rood non è l’unica a dire che la carne e i prodotti di origine animale possono causare infiammazione. Ma ad ogni modo, quel che è certo è che nella sua personale esperienza la nuova scelta alimentare l’ha portata a migliorare la sua forma fisica, i suoi tempi di recupero e in definitiva la sua prestazione in partita.

A dirla tutta, oltre alla sua salute fisica, anche quella psico-emotiva ne ha beneficiato: non consumare carne e derivati animali e quindi non contribuire più a tutta una serie di pratiche riconducibili alla produzione di tali alimenti le ha permesso di vivere in linea con quella che è la sua etica personale e soprattutto con il concetto che fra tutti le è più caro, ossia l’empatia.

Proprio empatia ed etica sono le prime parole che vengono in mente quando si pensa a Katie Rood. Sono anche quelle che la stanno sicuramente guidando in questo suo percorso di calciatrice professionista e di attivista e che sicuramente continueranno a guidare i suoi passi futuri.

Possiamo certamente dire che, in definitiva, Rood è proprio un eccellente esempio di come il mondo del calcio e quello delle tante importanti battaglie sociali della nostra epoca non siano e non debbano essere compartimenti stagni, ma anzi influenzarsi e supportarsi a vicenda, e di come le calciatrici possano sfruttare la visibilità che hanno duramente guadagnato per fare in modo che questo sia possibile.

Martina Cappai

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