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Calcio, donne e coca in Perù si trasformano in una storia più magica del vostro Natale

Un viaggio stupefacente nella serie A delle Ande.

Non conoscere l’esito dei Mondiali del 1982 è una delle poche cose che può compromettere il vostro passaggio dalla seconda alla terza elementare, secondo solo al non sapere quanto fa 15+18. Le vittorie contro Germania e Brasile e l’esultanza di Tardelli sono nel background culturale anche di chi non ha visto quegli eventi in diretta TV. Quello che si tende a dimenticare di quel Mondiale, è il girone pietoso giocato gli Azzurri. In un girone con Polonia, Camerun e Perù solo pareggi. Ma proprio un pareggio, quello contro i peruviani, totalmente rimosso dalla memoria collettiva italiana, ha segnato l’inizio di una nuova era a Churubamba, Perù.

Nel 1982 infatti, nel bel mezzo delle Ande a 3850 m sul livello del mare, dove l’aria è più rarefatta di quella che si respira in casa vostra dopo il pranzo di Natale, 250 contadini discendenti dagli indiani Quechua ci hanno messo anche meno di due secondi ad innamorarsi del calcio.

In questo villaggio a 100 km da Cuzco non c’è niente: non c’è elettricità, non c’è acqua, non ci sono fermate dell’autobus, non c’è Pomeriggio Cinque. Niente. Ma nel 1982 una radio alimentata a batterie li ha cullati, attraverso le gesta del più forte giocatore della storia del Perù, el Nene, all’anagrafe Teófilo Cubillas, nel magico mondo del pallone. E la storia inizia a farsi interessante proprio perchè, da quel magico mondo, gli uomini ne sono usciti quasi indenni, le donne invece non ne sono uscite più.

Nel 1999, quando la chiesa cattolica di Andahuaylillas decide di organizzare un torneo sportivo per unire comunità montane isolate, viene proposto il calcio per gli uomini e la pallavolo per le donne. Ma la risposta delle donne non lascia spazio a repliche: “Sappiamo come si calcia una palla”. Quel giorno ha preso il via quello che oggi è il campionato andino e, se la serie A vi sembra divertente, è solo perchè non avete il quadro completo.

Tanto per cominciare, giocano solo le donne. Gli uomini si occupano di badare ai bambini e fare il tifo alle madri in campo. Al massimo formano piccole orchestre per accogliere le squadre ospiti, in pratica fanno i majoret.

The president of the community, Maria Encarnacion inflates the ball before the match. Churubamba is a little village situated at 3 850 meters above the sea, five hours from Cuzco city. Cuzco, Peru 2004

Le sedute doppie non esistono, lavorare nei campi a quasi 4000 metri di quota è meglio dei ritiri a Brunico, quindi ci si allena solo prima di partite importanti. Tanto, prima di entrare in campo, invece dei sali si mastica una foglia di coca e la resistenza è subito a livello Lance Armostrong al Tour de France.

A Churubamba’s women during a match. Churubamba is a little village situated at 3 850 meters above the sea, five hours from Cuzco city. Cuzco, Peru 2004

Le divise invece hanno solo un paio di controindicazioni: si lavano a mano, e sono sconsigliate per i daltonici. Si gioca infatti con le trecce e i vestiti di tutti i giorni, quei coloratissimi abiti peruviani, accompagnati dalla gonna a balze. In pratica le squadre, composte da Pocahontas sotto effetto di stupefacenti, si differenziano solo per il colore delle gonne che, come dicono le giocatrici, “sono ideali per stoppare la palla”. Ai piedi niente tacchetti e uno scarpino un po’ più traspirante, alla San Francesco.

Per quanto riguarda l’organizzazione delle trasferte, le donne di Churubamba si sono organizzate in modo molto semplice. Per quelle più lontane, 170 km di distanza, cinque comode ore in piedi sul retro di un camion. Per le trasferte più vicine, a circa 16 km, la squadra andina impiega circa quattro ore tra scendere e salire dalle montagne, e utilizza dei comodissimi lama monoposto a trazione anteriore.

Anche sul terzo tempo questo campionato ha molto da insegnare. Le partite sono momenti di aggregazione per tutto il villaggio e, alla fine dell’incontro, vinti e vincitori condividono polli allo spiedo, pane, formaggio e arance per dessert, il tutto accompagnato con dell’ottima birra di mais. Tra i premi più quotati per i vincitori ci sono: 1 kg di patate da semina e le cavie, quella specie di cugino sudamericano di Hamtaro, una vera specialità culinaria per la comunità Quechua.

Sulla scaramanzia tutto il mondo è paese, ma qui hanno dei referenti qualificati. Prima della partita, tappa obbligata dallo sciamano del villaggio, il quale fa le sue previsioni sul risultato e non mette la schedina solo per non farsi segnalare dall’Antitrust. Per vincere la partita il suggerimento è di seppellire delle foglie di coca strofinate con l’aglio vicino allo stadio, ma solo dopo aver strofinato erbe e argilla sulle gambe per rafforzare i muscoli.

Quello di Churubamba sembra un mondo ancora più magico quando si scopre che, in genere, i nuclei familiari nelle società montane sono a gestione matriarcale. Nel libro The Football Crónicas, il peruviano Marco Avilés si esprime così riguardo la violenza domestica nel villaggio andino: “Gli uomini picchiano le donne? Sì. Cosa fanno le donne a riguardo? Reagiscono (per rimanere più fedeli alla traduzione “Je menano de più”)”.

L’introduzione del calcio in queste comunità montane non è stato facile, le donne hanno dovuto vincere l’iniziale resistenza opposta loro dagli uomini. Alla fine, però, del fatto che le donne giochino a calcio, ne hanno beneficiato tutti. L’alcolismo, un problema che queste regioni si portano in dote dalle haciendas della dominazione spagnola, è in calo e le donne hanno acquistato molta più sicurezza in sé stesse e cercano di migliorare la loro condizione e quella dei propri figli, spesso costretti ad abbandonare la scuola dopo qualche anno per aiutare nei campi.

A Churubamba’s women fights for the ball during a match. Churubamba is a little village situated at 3 850 meters above the sea, five hours from Cuzco city. Cuzco, Peru 2004

O-Ton Juana, una delle giocatrici di Churubamba, si è espressa così davanti agli autori del reportage Churubamba women on the ball: “Non ci sono molti motivi di gioia nella mia vita, quello nei campi è un lavoro duro e crescere i figli qui non è facile. Il calcio è l’unica pausa che ho, è uno dei pochi momenti in cui faccio qualcosa per me stessa. Incontro le altre donne e finalmente riesco a ridere. Poi sul campo di calcio mi sento qualcun altro, per un momento sono felice e dimentico tutto.”

Buon Natale.

Giulia Beghini

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