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Giocare a calcio durante una guerra: la storia delle giocatrici del WFC Zhytlobud-1 Kharkiv

È il 16 dicembre del 2021 e, allo stadio Alfredo Di Stefano di Madrid, Esther Gonzalez segna a recupero inoltrato il gol che mette la parola fine al match di Champions League femminile tra Real Madrid e WFC Zhytlobud-1 Kharkiv

Finisce così anche il percorso europeo di quella stagione per la squadra ucraina che, oltre al Real Madrid, ha affrontato nel girone B anche le islandesi del Breiðablik e il Paris Saint Germain. In fin dei conti non è neanche andata così male: con il pareggio dell’andata e la vittoria al ritorno contro il Breiðablik, il Kharkiv chiude il girone lasciando alle islandesi il posto in ultima fila. 

“È stato meraviglioso, fantastico. Era il mio sogno. Penso sempre alle mie abilità calcistiche e voglio migliorare e giocare meglio ogni giorno. Penso sia una cosa normale per un’atleta. Quando abbiamo giocato contro Real Madrid e PSG ho sentito durante la partita che il livello del gioco fosse molto alto. Le loro giocatrici sono veloci, molto forti fisicamente e pensano molto velocemente. Abbiamo perso quattro partite contro queste due squadre ma ne siamo uscite più forti, guadagnandone in esperienza” dice Anna Petryk, centrocampista del Kharkiv classe 1997, presente in tutte le partite di Champions della squadra ucraina di quella stagione. 

Adesso però è ora di tornare a casa, perché dopo la pausa di fine anno si riparte con la preparazione che c’è un campionato da vincere, sarebbe l’undicesimo per il Kharkiv, ufficialmente WFC Zhytlobud-1 Kharkiv, la squadra più vincente d’Ucraina. 

“Un anno prima della guerra, io sono tornata in Ucraina (Dal 2017 al 2020 Shmatko ha giocato per la squadra bielorussa FC Minsk ndr.) ed ero praticamente inconsapevole del fatto che un evento terribile come questo sarebbe potuto accadere nel mio paese. Neanche come squadra abbiamo avuto questa sensazione. Dopo la pausa invernale, abbiamo iniziato la preparazione per la seconda parte del campionato 2021/2021” dice Liubov Shmatko, centrale di difesa, classe 1993, anche lei presenza fissa nella difesa del Kharkiv in Champions League. 

Al rientro dalle vacanze natalizia c’è un altro importante impegno oltre al campionato. Anna Petryk e Liubov Shmatko sono entrambe parte della nazionale femminile ucraina, in cui di recente c’è un’atmosfera di cambiamento. A novembre è arrivato un nuovo allenatore, Luis Cortés, ct del Barcellona vincitore della precedente stagione di Champions League. 

Dal 16 al 22 Febbraio la Nazionale Ucraina parte alla volta di Alanya, Turchia, dove giocherà la Turkish Women’s Cup 2022. La squadra di Cortés vince il torneo e torna entusiasta a casa. Il 23 febbraio il gruppo arriva in aereo a Kiev, ma la gran parte delle giocatrici gioca per i due club di Kharkiv: Zhytlobud-1 e Zhytlobud-2, così quasi tutte prendono un treno per Kharkiv.  

Il 24 febbraio la Russia invade l’Ucraina. 

Le truppe russe attaccano l’Ucraina contemporaneamente su più fronti: da Sud, dalla Crimea annessa dai russi nel 2014, da est, dalla regione orientale del Donbass, già sede di una guerra tra separatisti filorussi ed esercito ucraino dal 2014 e infine da Nord, dalla Biellorussia fedele alleata della Russia. In pochi giorni l’esercito russo conquista vaste aree del territorio ucraino senza riuscire però a conquistare la capitale. Durante l’avanzata, l’esercito di Mosca si è reso protagonista di torture e massacri di civili, come quello di Bucha, alle porte di Kiev. 

“Si parlava molto del fatto che la Russia potesse attaccarci, ma chi poteva mai credere che nel ventunesimo secolo qualcuno potesse così apertamente uccidere migliaia di persone, torturare s stuprare impunemente. Tutti erano sicuri del fatto che quelle russe fossero solo intimidazioni e che la Russia non avrebbe mai osato arrivare a tanto, ma, sfortunatamente, lo stato confinante con noi ha deciso di iniziare a commettere una strage in Ucraina” dice Anna.

Kharkiv, la seconda città più popolosa del paese dopo la capitale, e importante centro scientifico e culturale, si trova nella parte nord del paese. Nel corso della prima fase della guerra, la città subisce un devastante assedio da parte delle forze russe, con ampi bombardamenti di artiglieria e combattimenti di terra. Ad essere colpiti soprattutto obiettivi civili: scuole, edifici residenziali e infrastrutture che riforniscono la città di acqua ed elettricità. 

“La città di Kharkiv ha sofferto molto e soffre ogni giorno, visto che è una città molto vicina al confine. Credo che le persone lì siano cambiate molto perché non è facile vivere e provare costantemente paura per la tua vita e quella della tua famiglia” racconta Liubov. “[…] Le persone vivono un giorno per volta. Nessuno sa cosa può succedere domani o dopodomani. Cerchiamo di vivere il presente e di goderci ogni giorno” continua Anna.

La situazione, soprattutto per chi abita nelle zone vicine al confine, diventa insostenibile e in molti decidono di andarsene. 

Anna Petryk è tra queste: ”La finestra per i trasferimenti è stata estesa per le giocatrici ucraine e alcune restrizioni sono state rimosse in modo da permetterci di giocare liberamente in altri Stati. Inoltre i club europei con cui le calciatrici ucraine hanno firmato dei contratti hanno fatto del loro meglio per aiutarci. Per esempio, il Breiðablik, la squadra con cui ho firmato io, mi ha aiutato molto nei momenti critici, o forse è solo perché gli islandesi sono brave persone. Non so se posso paragonarlo ad altri club. […] Non sapevamo se sarebbe stato possibile per noi giocare in Ucraina e fare quello che ci piace. Abbiamo deciso di giocare in altri Paesi per poter guadagnare dei soldi per noi stesse, per i nostri genitori, le nostre famiglie e per migliorare nel nostro sport”

E così, una guerra iniziata cambiando gli equilibri tra vicini di casa, finisce per cambiare anche quelli tra avversari: Anna va a giocare in Islanda, nel Breiðablik che il Kharkiv aveva battuto in Champions. “Quando ho saputo che avrei potuto giocare per il Breiðablik, sono rimasta molto sorpresa. Mi ricordavo della loro squadra in Champions League e quello è stato il motivo per cui ho deciso di giocare lì. Il Breiðablik ha grandi obiettivi e cercano di migliorarsi ogni giorno ed è fantastico. È stata un’esperienza magnifica per me, non mi sono pentita di aver scelto loro, è una grande squadra a cui sono molto riconoscente” dice la centrocampista.

Anche Liubov Shmatko ha dovuto lasciare l’Ucraina partendo per la Turchia, dove aveva vinto la Turkish Women’s Cup in febbraio, per indossare la maglia dell’ABB Fomget: “La Turchia è un Paese interessante a ti ci devi abituare: la cultura, le abitudini e persino il cibo sono fondamentalmente diversi da quelli ucraini, ma ti ci abitui col tempo. La mia stagione in Turchia sta andando bene, è appena all’inizio e tutte le partite più interessanti si giocheranno nelle prossime giornate”.

E così il Kharkiv femminile non ha resistito all’invasione russa: “Attualmente, la squadra non esiste più, la maggior parte delle ragazze gioca in altri stati e in altre squadre. […] Quando la guerra è iniziata, lo Zhytlobud-1 ci ha permesso di trasferirci in altri club. È stata una buona decisione perché noi avevamo bisogno di allenarci e giocare in modo da essere pronte per le partite della Nazionale” racconta Shmatko. 

Come l’Italia infatti, anche la Nazionale ucraina di calcio femminile è impegnata nelle qualificazioni ai Mondiali 2023 in Australia e Nuova Zelanda. Nel girone dell’Ucraina c’è anche la Spagna, in cui giocano buona parte delle vecchie conoscenze di Cortés. 

Ma la decisione della Uefa di lasciar partire le calciatrici ucraine non è un caso. Dopo che Cortés, con tutto lo staff della nazionale, è stato invitato dalla federazione a lasciare il paese, il ct ha iniziato a mobilitarsi per le sue giocatrici, inviando aiuti umanitari, convincendo la Uefa a tenere aperta la finestra di trasferimenti per le ragazze ucraine e cercando club per le proprie giocatrici, come riporta Forbes

Quando bombardano il tuo paese, anche una cosa semplice come il concetto di partita in casa diventa complicato e la Nazionale ucraina il 24 e il 28 giugno si trova costretta a giocare in Polonia le partite di qualificazione contro Scozia e Ungheria

“Era il quarto mese dall’inizio della guerra. Quando il conflitto è iniziato abbiamo cercato di trovare una squadra e poi abbiamo cercato di adattarci nel gruppo, cercando di non pensare troppo alle cose terribili che stavano succedendo in Ucraina. Abbiamo cercato di concentrarci sul calcio perché sapevamo di avere partite ufficiali con la Nazionale che erano molto importanti per noi e per il nostro Paese. Volevamo giocare in Ucraina ma era impossibile, non potevamo giocare a casa nostra, non potevamo giocare in Ucraina. Tutti sapevano che era più importante che mai. Quando ci siamo incontrate per la prima volta dall’inizio della guerra abbiamo pensato molto alle forze armate, al popolo ucraino, alle vittime della guerra e molto poco al calcio. Pensavamo più alle notizie che arrivavano che al calcio ma abbiamo provato ad essere forti” dice Anna Petryk. 

La prima delle due partite finisce 4-0 per la Scozia. Con l’Ungheria invece l’Ucraina vince 2-0. È cambiato qualcosa però dall’ultima volta che le giocatrici ucraine hanno giocato con addosso la maglia della propria nazionale. “Quando indossi la maglia della Nazionale è sempre una sensazione speciale ma, da quando è iniziata la guerra, questo sentimento è ancora più forte e quando la indosso voglio dimostrare al mondo intero che siamo qui e abbiamo pieno diritto di vivere ed esistere” dice Liubov Shmatko. 

A settembre, proprio dalla zona di Kharkiv, parte la più efficace controffensiva dell’esercito ucraino. Iniziata a sorpresa, mentre la Russia spostava mezzi e uomini a sud per difendersi da un altro tentativo ucraino di contrattaccare e riconquistare la città di Kherson, l’operazione dell’esercito ucraino ha spinto i russi oltre il confine allontanando la linea del fronte da Kharkiv, e consentendo di proteggere la città. 

L’unico a non aver avuto bisogno di protezione, nemmeno in tempo di guerra, è stato il calcio. Il 23 agosto, sempre a Kiev, dopo una breve cerimonia e un minuto di silenzio per le vittime dell’invasione russa, si è giocata la prima partita di calcio maschile ucraino in tempo di guerra. In campo si sono sfidate le squadre di Donetsk e Kharkiv, Shakhtar e Metalist, il cui stadio ha ospitato le partite casalinghe della Champions League femminile prima dello scoppio della guerra. La gara si è giocata in uno stadio vuoto, per misure di sicurezza.

Insieme a quello maschile, è cominciato con le stesse precauzioni anche il campionato femminile: gli stadi sono dotati di sirene e rifugi antiaerei nelle immediate vicinanze e gli arbitri sono stati istruiti per gestire le eventuali interruzioni. 

All’inizio della stagione, Anna Petryr ha deciso di tornare in Ucraina a giocare. Al posto della maglia della sua vecchia squadra, che oggi non esiste più, Anna indossa quella dell’altra formazione Kharkiv, il Vorskla Poltava, conosciuto in precedenza come Zhytlobud-2. 

Ci vuole del coraggio però a giocare in un Paese in guerra: “Prima di tornare in Ucraina ero molto stressata. Non sapevo come giocare nelle condizioni esasperate di stress e ansia in cui vive il nostro Paese. È terribile quando stiamo giocando a calcio e sentiamo le sirene antiaeree e dobbiamo andare nei rifugi e aspettare. Possiamo aspettare venti minuti o uno o anche due ore. Devi stare lì e quando le sirene si spengono uscire e ricominciare a giocare. È stato molto strano per me ma adesso è questa la realtà del calcio in Ucraina. Sono molto grata alle nostre forze armate, perché è grazie a loro se noi possiamo giocare lì. Io avevo bisogno di tornare in Ucraina a giocare perché volevo aiutare la mia famiglia.”

La stagione 2020/2021 si è conclusa senza un vincitore e, con la scomparsa del Zhytlobud-1, è spettato al Vorskla Poltava il diritto di accedere alla Champions League, ma la logistica non è una questione banale in questi casi: “Quest’anno è stato molto difficile. Credo che nessuno lo capisca. Quest’anno è il Vorskla team a rappresentare l’Ucraina in Champions League ed è stato difficile perchè il Vorskla non gioca in Ucraina. Andiamo in un altro stato a giocare le partite in casa, rimaniamo là, ci alleniamo e giochiamo fuori anche i match in trasferta. Anche quando abbiamo i camp con la Nazionale andiamo prima in Polonia e poi partiamo da lì per le trasferte. Passiamo molto tempo a viaggiare”.

La scelta di giocare a calcio durante una guerra potrebbe sembrare una follia agli occhi di molti. Sicuramente lo sembra agli occhi di quelli del partito del “ci sono altre priorità”, ma non a quelli di Andriy Pavelko, il presidente della federazione ucraina, che, in occasione della presentazione della stagione, ha dichiarato: «La scelta di disputare un campionato di calcio durante una guerra non riguarda soltanto lo sport. Vogliamo dimostrare la tenacia del nostro popolo, del suo spirito e il nostro desiderio di vittoria. È un’iniziativa unica nella storia: il calcio, contro la guerra, durante una guerra».

La tenacia e il desiderio di vittoria del popolo ucraino sono chiare anche dalle parole delle calciatrici che sottolineano come, in qualità di atlete, siano pronte a fare la loro parte: “Certo che lo penso, come dice il nostro Presidente: “ognuno deve aiutare sul proprio fronte” e questo è il motivo per cui io dico e mostro a tutti cosa sta succedendo nel nostro Paese” dice Shmatko. 

Le loro parole rendono però anche necessaria una riflessione, spesso difficile da fare abitando lontano dal conflitto. Perché parlare di pace è giusto, ma farlo da dove si è al sicuro fa dimenticare che, vista da vicino, la pace è una concetto molto più pratico di quello che sembra. Senza chiamare in causa la sovranità nazionale, quando qualcuno entra nel tuo Paese, ti distrugge la casa e poi cerca di convincerti che sei uno di loro, è difficile parlare di pace.

Dice Anna Petryk: “Prima di tutto condivido il dolore come ucraina e poi come atleta. Voglio dare il mio contributo per il mio paese sul campo di calcio. Credo che quello sia il nostro campo di battaglia. Io posso e voglio dichiarare sul mio campo che il paese a noi confinante è uno stato terrorista. Mi sento responsabile e non devo stare zitta su quello che sta accadendo nel mio paese. Bisogna dire le cose come stanno e dire che la Russia è uno stato terrorista, che la Russia ha invaso l’Ucraina e che uccide il mio paese ogni giorno. Voglio farlo così posso guardare i miei antenati negli occhi senza vergognarmi. Se posso dire la verità in questo modo, lo farò. Non posso stare in silenzio e aspettare la pace. Non voglio la pace, voglio che lo stato terrorista che ci ha invaso lasci il mio Paese e non torni qui mai più”.

Giulia Beghini
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