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Approvata la riforma del lavoro sportivo. A rischio i fondi per il professionismo nel calcio femminile?

Lo sport vanta un triste primato: essere il colpo di coda dei Governi italiani. Lo era stato con il varo di Sport e Salute con il sottosegretario alla presidenza con delega allo sport Giancarlo Giorgetti. Lo è stato, ancora una volta, ieri con il Consiglio dei Ministri che ha dato via libera alla riforma del lavoro sportivo voluta dalla sottosegretaria Valentina Vezzali (capolista di Forza Italia nel plurinominale nelle sue Marche e rimasta fuori dalla Camera dei deputati alle ultime elezioni).

La riforma del lavoro sportivo è arrivata attraverso un decreto legislativo correttivo, dopo che la scorsa settimana aveva ricevuto il via libera dalla 7° Commissione del Senato. Se da una parte la riforma intende tutelare la vasta platea dei lavoratori del mondo dello sport (tecnici, istruttori, maestri ma anche gli sportivi dilettanti) con una soglia esentasse abbassata da 10 mila a 5.000 euro, mentre chi percepisce tra 5.000 e 15.000 euro l’anno non vede applicarsi ritenute fiscali ma solo previdenziali con le due ritenute che tornano sopra i 15.000 euro annui, dall’altro tante sono le perplessità di un atto che forse meritava qualche tempo di riflessione in più.

Innanzi tutto la data di avvio. 1° gennaio 2023 con le singole situazioni che, quindi, dovranno essere modificate a stagione in corso. E poi il problema degli sgravi fiscali che avrebbero dovuto favorire il calcio femminile. Il testo infatti oggi prevede che questi sgravi si applichino solo “alle società sportive professionistiche il cui fatturato nella stagione precedente non sia stato superiore a 5 milioni di euro”, tagliando quindi fuori tutte le squadre di Serie A che hanno alle spalle un club maschile, per non parlare delle difficoltà cui andrebbero incontro i club più piccoli, dal Pomigliano al Como.

Due anni fa, la commissione Bilancio del Senato aveva approvato l’emendamento dell’ex senatore Tommaso Nannicini al decreto che dava vita al fondo triennale per garantire sostenibilità economica al passaggio al professionismo negli sport femminili. Adesso si vanno proprio a bacchettare quelle società che sono le promotrici degli investimenti e il faro dello sviluppo del movimento del calcio femminile in Italia.

E la Figc? Aspetta la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della riforma e la nomina del nuovo Governo per tornare alla carica. Fino al 1° gennaio del prossimo anno ci potrebbero essere ancora dei margini di manovra. In una politica tipica del nostro Paese che fa prima un passo avanti per poi dover tornare indietro a ricordarsi quanto era stato pattuito. In questo meccanismo ci è finito in mezzo, ancora una volta, lo sport italiano che aspetta di diventare una priorità, come merita, nel nostro Sistema Paese e non più l’atto di coda dei Governi uscenti.

Inoltre il decreto legislativo correttivo prevede anche l’abolizione del vincolo sportivo a partire dal 1° luglio 2023. Su quest’aspetto la Federcalcio, insieme ad altre federazioni, chiedeva una norma transitoria che arrivasse all’abolizione definitiva solo dal 1°luglio 2025.

Tiziana Pikler
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