L’autobiografia “One Life” di Megan Rapinoe è una lettura imperdibile per qualunque appassionato di questo sport ma anche per chi desidera soltanto conoscere meglio una personalità eclettica e coraggiosa

Il libro One Life, edito in Italia da Garzanti Editore è disponibile in Italia a partire dal 13 maggio.

Quando le pellicole statunitensi raccontano storie di genere giudiziario, spesso ci troviamo di fronte a una sequenza di scene che seguono il processo decisionale della giuria e puntualmente, quando l’unanimità sembra finalmente raggiunta, un giurato all’improvviso alza la mano e prende posizione contraria rispetto alla maggioranza. È così che immagino Megan Rapinoe tra le pagine della sua prima autobiografia “One Life” [Garzanti editore, traduzione di Giulia Vallacqua]. Così o, se volessimo usufruire di una similitudine proveniente dalla cultura pop televisiva della Marvel, come Peggy Carter col cappello rosso che cammina controsenso in una strada affollata da uomini in giacca e cravatta.

L’autobiografia è un genere letterario insidioso. Può apparire autocelebrativo, a tratti anche egocentrico. Ma a fare la differenza in questi casi è la validità delle parole nel corso del tempo. Quando si scrive nell’immediatezza di un evento vissuto o di un’emozione provata, quell’espressione tende a restare legata a un determinato momento e diventarne pericolosamente dipendente. Megan Rapinoe avrebbe potuto scrivere la sua prima autobiografia dopo i Mondiali di Calcio Femminile in Germania nel 2011, quando presentò pubblicamente e candidamente la sua identità omosessuale. Poi, avrebbe potuto scrivere il secondo volume nel 2016, quando mise a rischio la sua intera carriera inginocchiandosi in supporto al quarterback statunitense Colin Kaepernick come protesta contro la brutalità delle forze dell’ordine negli Stati Uniti nei confronti della comunità nera.

Eppure solo oggi questo libro viene condiviso con noi, perché probabilmente solo adesso questa autobiografia si distacca da un particolare contesto storico e diventa atemporale, sempre valida, e non solo per Megan Rapinoe ma per chiunque ne colga la ragione d’esistere. Non fraintendiamoci, “One Life” è anche uno scritto autocelebrativo ma se un atleta avesse vinto tutto ciò che compare nel palmares di Rapinoe l’autocelebrazione sarebbe legittima. E la calciatrice non rinnega neanche l’attenzione mediatica, anzi l’abbraccia consapevolmente, perché la merita ma più di tutto perché sa come utilizzarla.

È questa la chiave di interpretazione di “One Life”. Rapinoe è giunta oggi a una maturità personale che presenta il giusto mezzo di individualismo e collettivismo e anche la sua autobiografia quindi rispecchia onestamente questa personalità così combattiva e complessa.

Ciononostante, si avverte un particolare controllo nel suo racconto. “One Life” non è un flusso di coscienza e Rapinoe, per quanto schietta e senza filtri si presenti, non mostra tutto di sé, forse perché non è sempre lei la protagonista della sua storia. Intensa è la descrizione del rapporto simbiotico con la gemella Rachel ma i momenti in cui appare più individualmente vulnerabile sono principalmente due: il primo, in cui parla del suo idolo da bambina, ossia il fratello Brian, afflitto dalla condanna della tossicodipendenza, con la conseguente denuncia dell’emarginazione sociale di un sistema che preferisce punire anziché riabilitare; e il secondo, in cui esprime con spassionata libertà l’amore travolgente e assoluto per Sue Bird, la pluricampionessa olimpica di basket che rappresenta un porto sicuro per la sua vita in tempesta.

© 2020 by Megan Rapinoe

Ma per buona parte dell’autobiografia, le esperienze di Rapinoe sono un mezzo, una piattaforma per amplificare le voci che non vengono ascoltate, per combattere battaglie che riguardano tutti e non solo quelli che le subiscono. Con il privilegio che il colore della sua pelle le concede, Rapinoe ha creato una base di supporto per sostenere senza riserve la Black Lives Matter; con il suo vissuto, ha lottato per i diritti della comunità LGBTQ+; e con la sua professione, ha denunciato la disparità di guadagno tra i generi, portando in tribunale, con la sua squadra – la Nazionale Femminile Statunitense – la Federazione Calcio USA, per ottenere la paga equa che spetta loro per merito.

Si riconosce però una particolare sensazione che attraversa le pagine di “One Life”. Quella di solitudine sul campo di battaglia. Consapevole che ogni persona affronta la conoscenza di sé e delle lotte che intende abbracciare con i suoi tempi e le sue modalità, Rapinoe non nasconde un accenno di delusione per essere stata spesso la sola a farsi carico di tali questioni. Ma la realtà è che Megan Rapinoe si muove alla sua velocità e non è sempre possibile o semplice raggiungerla sul suo stesso percorso.

Se siete appassionati di calcio e in particolar modo di calcio femminile, “One Life” è imperdibile ma forse non è una sorpresa, bensì una conferma. Ripercorrere la carriera di Megan Rapinoe con la Nazionale attraverso i suoi ricordi e i suoi retroscena è avvincente e inedito. Se invece siete alla ricerca di un punto di vista individuale ma aperto al mondo, “One Life” è la risposta che non avete visto arrivare. Perché Megan Rapinoe non intende fornire una lezione di vita ma, che siate d’accordo con lei o meno, vi mostra la realtà con lo sguardo di chi ha aperto gli occhi, ha imparato a leggere la storia che la circonda e ha capito che non va tutto bene. Ma potrebbe andare meglio, se scegliessimo di indossare il cappello rosso e camminare controcorrente.

Rita Ricchiuti
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