Interviste

Raccontare il calcio è come scendere in campo. Intervista a Nicole Peressotti

Dietro all’ottimo lavoro nelle schede del calcio femminile de “La Giovane Italia” c’è la mano di Nicole Peressotti. Calciatrice, giovane promessa, ma con una carriera segnata da tantissimi infortuni. Troppi. Così tanti che molte altre al suo posto avrebbero forse rinunciato a giocare.

Nicole ha sempre guardato avanti. Attualmente gioca nella Triestina e negli anni scorsi ha vestito la maglia del Tavagnacco in Serie A, ma anche quella delle selezioni giovanili azzurre.
Un percorso simile a quello di tante sue colleghe presenti nell’almanacco. Lei stessa era stata inserita nella prima edizione.

Oggi Nicole Peressotti è il punto di riferimento della redazione che analizza e compone le schede relative al calcio femminile. Un lavoro, quello di Nicole e dei suoi collaboratori, che in futuro potrà avere degli sbocchi anche nel mondo del giornalismo.

Abbiamo raggiunto Nicole telefonicamente per farci raccontare meglio i dettagli del suo lavoro e scambiare due chiacchiere sulle giovani promesse del nostro calcio.

Come è nata l’idea di collaborare con la Giovane Italia?
Non è stata proprio un’idea, è stato più un “essersi trovati”. Paolo Ghisoni e la Giovane Italia si sono interessati al calcio femminile nel 2014, l’anno stesso in cui noi stavamo andando a disputare il mondiale U17. L’anno successivo, nel 2015, 30 profili femminili aprivano la nuova edizione dell’almanacco, tra i quali figuravo anche io; feci un video per promuovere l’idea. Paolo mi chiamò pochi giorni dopo entusiasta, chiedendomi se avessi voglia di raccontare con la mia voce e le mie parole la realtà del calcio femminile. Io ero alle prese con il mio primo infortunio serio, ma mi rispecchiai in quelli che erano i suoi ideali di sport e i valori che ricercava nei giovani talenti; “raccontare” il calcio fu il mio modo di scendere in campo nonostante non potessi. Da quel momento a oggi, La Giovane Italia è stata il mio filo conduttore, e mi ha tenuto legata al calcio anche quando avevo deciso di smettere. Si propone di credere nei giovani, e Paolo e tutto lo staff hanno creduto in me come persona e come calciatrice fin dal primo giorno, riaccompagnandomi poi anche al rientro vero e proprio.

Come avviene la compilazione delle schede e quali criteri vengono utilizzati nella scelta delle giocatrici?
Per la scelta delle giocatrici ci si avvale di più parametri: il primo fra tutti, ovviamente, è il ranking dei vari campionati; una classifica di rendimento che segue le U21 di A, B, e Primavera femminile e che, in base a minutaggio, gol fatti, rigori parati e quant’altro, comporta il primo filtro per la selezione. Quelle che vanno sull’almanacco, però, sono solo le U19. Poi, ovviamente, io e i miei collaboratori cerchiamo di vedere più partite possibili per farci un’idea chiara delle giocatrici che abbiamo di fronte; ci confrontiamo e cerchiamo di capire a chi dare la priorità o meno, tenendo presente anche gli infortuni, o le ragazze giovani che, inserite nelle prime squadre, trovano poco minutaggio e non risultano quindi nel ranking.
Dopo aver cercato di inquadrare in maniera più o meno generale le ragazze da inserire, ci si confronta con società, compagne di squadra, staff tecnici e C.T. delle Nazionali, per riuscire ad estrapolare e compilare il numero predefinito di schede.

Quanto lavoro c’è dietro? Hai un team di collaboratori che ti aiuta?
Si potrebbe dire che il lavoro non finisce mai, poiché, mandata in pubblicazione un’edizione, si inizia il lavoro per quella dopo, portandosi avanti per l’anno a venire. E poi ci sono i pezzi da scrivere e i ranking da aggiornare: la domenica il telefono mi esplode per i tabellini delle partite da monitorare. Fortunatamente, però, non è un lavoro che svolgo da sola: da
quest’anno abbiamo avvicinato alcune persone che collaborano con me per quanto riguarda il femminile; persone squisite, che sposano i valori del progetto e che hanno passione genuina per il calcio: se non fosse, infatti, per Stefano Grassi, Matilde Copetti e Nicole Gaspardis non sarei mai riuscita a ultimare il lavoro.

Mi ha colpito molto la parte relativa al profilo psicologico. Implica una conoscenza molto approfondita della persona.
È la parte che prediligo anche io, soprattutto perché, a mio parere, se non c’è la testa, il talento vale poco. È una voce a cui cerchiamo di prestare molta attenzione e, di solito, la compiliamo dopo aver effettuato controlli incrociati di quello che ci dicono gli addetti ai lavori, le compagne di squadra ed, ovviamente, in base anche alla conoscenza personale della ragazza.

Come viene percepito il lavoro che fate dagli addetti ai lavori?
Dipende da chi troviamo di fronte: c’è chi è davvero collaborativo ed entusiasta del progetto, chi, invece, un po’ più restio. Devo dire che, per fortuna, per ora ho trovato persone
molto spesso disponibili e contente di poter dare visibilità alle proprie atlete.

C’è una calciatrice dell’attuale almanacco che potremmo vedere ai Mondiali 2023 in maglia azzurra?
Non mi piace sbilanciarmi troppo, ma ad oggi probabilmente quella più pronta tra i 101 profili è Giada Greggi, centrocampista dell’AS Roma, da anni in ottica delle nazionali giovanili.

Giovanissima col Tavagnacco hai conquistato due coppe Italia. Rispetto ad oggi come è cambiato il calcio femminile?
Di cambiamenti ce ne sono stati tanti, primo fra tutti l’ingresso dei top club maschili, che hanno rivoluzionato, oltre alle prime squadre, anche i settori giovanili. Nel calcio di Serie A, oggi, si respira un’aria diversa: il livello si è alzato, soprattutto dal punto di vista fisico e quantitativo, merito anche dell’arrivo di giocatrici straniere; e le ragazze possono giocare solo a calcio, non è sempre necessario che lavorino.

Hai fatto parte della spedizione azzurra con la selezione Under 17 ai Mondiali in Costa Rica. Ci racconti qualcosa di quell’esperienza?
È un ricordo che fa tremare ancora un po’ il cuore: d’altronde, avevo quindici anni (ne ho compiuti sedici sull’aereo durante il viaggio di ritorno), e ho vissuto il mondiale come solo si può vivere a quell’età: con il sorriso, il cuore a mille ed il divertimento di giocare a pallone, e giocare in stadi immensi e in diretta Tv. Di quell’esperienza, mi porto dietro non tanto i risultati, quanto la piccola famiglia che si era creata. Gli allenatori Sbardella e Guarino, e tutto lo staff che ci ha accompagnato, sono stati in grado di creare un clima unico, tale da farci scendere in campo senza essere impietrite dalla paura.
Mi ricordo che, dall’inizio del percorso con quell’U17 alla fine, non c’è mai stata una partita in cui ho avuto paura di perdere: è sempre stata una cosa che mi ha impressionato.

La tua generazione, che poi è la stessa di tutte le ragazze presenti ne La Giovane Italia, viene definita Zeta. Nel calcio femminile si traduce in una nuova era. Al di là delle opportunità che oggi ci sono, in cosa le giovani di adesso sono diverse dalle precedenti generazioni?
Nella percezione stessa che hanno del calcio. Vedono in questo il loro futuro, vogliono giocare, possono giocare. Gran parte dei settori giovanili sono cambiati e le ragazzine, anche le più piccole, hanno davvero una qualità tecnico-tattica invidiabile e che io, francamente, alla loro età probabilmente non avevo.

Tanti infortuni hanno frenato la tua carriera. Ora sei ripartita da Trieste. Come vedi il tuo futuro?
Sono ripartita dall’Eccellenza perché avevo bisogno di testare il mio ginocchio, capire che giocatrice potessi ancora essere e che valore aveva ancora il calcio per me; e mi sono accorta di aver ancora voglia di giocare e, non so se sia da stupidi o meno, di volere ancora un’opportunità. Non so dove mi vedo sinceramente: mi piacerebbe sicuramente risalire in A, un giorno, ma devo essere brava a fare un passo per volta senza accelerare; la voglia c’è, e anche la determinazione.
Nel frattempo, mi sto cucendo anche qualche piano B: frequento l’Università, e sono al secondo anno del CdL di Fisioterapia: sembrerà banale, ma gli infortuni mi hanno fatto capire il bello della riabilitazione, di un lavoro che non è mai uguale, ma sempre adattato alla persona. E poi, ovviamente, ci sono le collaborazioni giornalistiche e la scrittura. Sono tutte cose che mi appassionano.Vedremo quale prenderà il sopravvento.

Giuseppe Berardi
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L’articolo “Generazione Z, una nuova era di calciatrici” è stato pubblicato su L Football Magazine, rivista interamente dedicata al calcio femminile.

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