Dal 1° luglio 2022 è stato introdotto il professionismo nel calcio femminile. Un passaggio epocale, una svolta per tutto il movimento calcistico delle donne.

Al riguardo, Banca Ifis, nella cornice dell’Osservatorio dello Sport System, ha dedicato un approfondimento per raccontare il percorso che ha portato a questo traguardo e analizza gli aspetti salienti per calciatrici e società.

Professionismo, cosa cambia per calciatrici e club

Il passaggio al professionismo nel calcio femminile comporta molteplici cambiamenti per atlete e club.

Le calciatrici potranno godere di contratti veri e propri che, oltre a un salario minimo di 26.000 euro lordi senza alcun tetto massimo, comporta tutele legali e sanitarie, come l’accesso alla maternità e il versamento dei contributi previdenziali nel Fondo Pensione Sportivi Professionisti, istituito presso L’Inps.

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In estrema sintesi: viene riconosciuto ufficialmente il mestiere della calciatrice. Per i club l’impatto non è da poco: se da una parte è innegabile che le atlete diventano un vero e proprio asset con il contratto professionistico che ne garantirà la titolarità e permetterà di aprire vere e proprie sessioni di calciomercato, grazie anche al decadimento del vincolo sportivo, sul versante economico si prevede un aumento dei costi di gestione societari più che raddoppiato che potrebbe raggiungere picchi anche del 60% se non 80% in più.

Le società dovranno infatti adottare la forma di società di capitali, versare una fideiussione di 80.000 euro e rinnovare le proprie strutture garantendo un impianto sportivo con almeno 500 posti.

Confronto tra il calcio femminile italiano e quello europeo

Ci sono alcune differenze tra il calcio professionistico femminile italiano e quello estero. In Spagna ad esempio, dove il calcio ha più o meno lo stesso appeal dell’Italia, è stata adottata una via diversa, come spiega Pedro Malabia Sanchis Director de Fútbol Femenino de La Liga. Alle calciatrici è stato concesso lo status giuridico di atlete professioniste e la massima competizione è stata demandata ai club che hanno realizzato una nuova entità, la lega professionistica, per gestirne l’organizzazione.

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In Inghilterra l’apertura al professionismo femminile è avvenuta nella stagione sportiva 2018/19. Oggi le società di calcio con il team femminile generano in media 1,4 milioni di euro di ricavi all’anno, contro i 900 mila euro delle squadre italiane.

Anche i costi sono hanno un peso diverso tra Inghilterra e Italia. Uno stipendio medio nella Women’s Super League è di 50 mila euro annui mentre nella nostra Serie A femminile il dato si attesta a 18 mila euro annui.

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La pratica sportiva in Italia: differenze tra donne e uomini

Come riporta l’edizione 2022 dell’Osservatorio sullo Sport System sono 15,5 milioni gli italiani che praticano attivamente sport ma suddividendo tra i generi si riscontra una netta discrepanza: la componente maschile pesa per il 63% del totale, mentre quella femminile si limita al restante 37%1
che, tradotto in valori assoluti, equivale a 5,8 milioni di donne maggiorenni che praticano almeno uno tra i 10 principali sport in Italia.

Un numero che non deve trarre in inganno perché si tratta solo di 2 donne su 10 della popolazione femminile adulta, esattamente la metà della controparte maschile: sono infatti 4 su 10 gli uomini maggiorenni che praticano almeno uno tra i 10 principali sport.
Un altro dato rilevante riguarda l’abbandono della pratica sportiva che, stando alle rilevazioni per la popolazione femminile avviene dopo i 34 anni mentre, tra gli uomini questo fenomeno avviene mediamente 20 anni dopo, attorno ai 54 anni.

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