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Lo sviluppo del calcio femminile nei principali campionati

calciatrici

Per un appassionato di calcio sono i club a fare la differenza. Le squadre Nazionali appartengono in fondo un po’ a tutti: al tifoso occasionale che si risveglia ogni due anni per gli Europei o i Mondiali, alle famiglie e agli amici che si riuniscono per le partite, allo spettatore medio che di base non ha altro da vedere in tv in quei giorni. Le Nazionali tendono a unirci come popolo, un po’ come l’Eurovision Song Contest e Giochi Senza Frontiere. Ma sono le squadre di club a rappresentare le autentiche radici del tifoso, a definire la sua relazione col calcio. E questa ora deve essere anche la nuova frontiera del calcio femminile, abbiamo fatto le squadre, adesso dobbiamo farne la storia.

Il calcio femminile infatti funziona in fondo un po’ al contrario. Per quanto alle sue origini, anche questa realtà sportiva nasca tra i club, soprattutto in Italia, il vero boom del suo sviluppo è avvenuto tra le Nazionali in tempi non troppo distanti e in particolar modo nell’ultima nazione dove avremmo mai creduto potesse emergere con un tale professionismo, ovvero gli Stati Uniti.

Le partecipazioni alle Olimpiadi e in soprattutto i campionati Mondiali di Calcio Femminile hanno acceso lentamente l’interesse collettivo per questo sport, conducendo sempre più club a investire finalmente nelle rispettive squadre femminili, non sempre con la serietà richiesta ma a volte abbastanza da mettere almeno le basi delle diverse leghe nazionali. Il professionismo è ancora sporadico anche nelle maggiori leghe (solo la National Women’s Soccer League negli USA, la Women’s Super League in Inghilterra, la Frauen Bundesliga in Germania e la Damallsvenskan in Svezia sono totalmente professionistiche) ma sono ancora di meno le squadre che stanno davvero costruendo la cultura dei club che ha reso il calcio unico nella sua esistenza.

Dopo i Mondiali di Francia del 2019 e il successo mediatico planetario che hanno ottenuto, la situazione sembra essersi “sbloccata” dall’impasse di stallo e il calcio femminile sta vivendo ora, anche a livello di club, una nuova crescita e uno sviluppo negli investimenti, registrato nel report mensile del CIES Football Observatory che ne ha seguito l’andamento dal 2017 a Giugno 2021.

Proprio dal 2017 in poi, l’aumento del numero medio di calciatrici in una squadra di club è cresciuto costantemente ogni anno, ad eccezione di un inevitabile ma leggero calo nel 2020. Tra le dieci maggiori leghe di calcio femminile, il numero di giocatrici in rosa è salito da 24,24 nel 2017 a 25,39 nel 2019, fino ad arrivare a 25,78 nel 2021, quando le stagioni hanno ripreso il loro regolare corso.

Allo sviluppo del professionismo e all’ampliamento delle rose delle squadre, corrisponde negli ultimi anni anche un aumento dell’età media delle calciatrici in campo, anche questo dato in costante miglioramento nelle ultime cinque stagioni. Corollario di questi numeri potrebbe essere dunque un’osservazione sulla vita media della carriera delle calciatrici che in questo modo sembra aver raggiunto un nuovo traguardo, grazie anche probabilmente a una maggiore attenzione rivolta alla fisicità delle giocatrici e al recupero dagli infortuni.

L’evoluzione dell’età media e dunque dell’esperienza delle calciatrici in campo si è notata particolarmente in due leghe professionistiche: la NWSL statunitense e la WSL inglese. Proprio negli Stati Uniti, la particolare e dettagliata preparazione atletica rappresenta uno dei maggiori punti di forza della Uswnt e per corrispondenza anche delle giocatrici della lega, garantendo in questo modo una carriera duratura tra club e Nazionale. Tra critiche e dubbi infatti, la Uswnt si presenterà alle prossime Olimpiadi di Tokyo con uno dei roster più esperti della competizione, in cui l’età media delle attaccanti sarà di circa 33 anni.

Sempre dal punto di vista complessivo delle dieci “major leagues”, dal 2017 in poi, in cui l’età media in campo era di 24,3 anni, la crescita è stata progressiva, arrivando a 24,9 a cavallo tra 2019 e 2020 e giungendo a 25,3 nel 2021. Dal punto di vista delle singole leghe invece, si potrebbe dire che il campionato olandese, l’Eredivisie Women, resta al momento il più “giovane”, con l’età media delle militanti in campo di 22 anni. Seguono la Toppserien norvegese e la Frauen Bundesliga tedesca con 23,4 e 24,3 anni. I campionati più maturi come già visto sono infatti quello inglese e quello statunitense, rispettivamente con una media di 26,1 e 27,8 anni. A livello di singole squadre infatti, sei degli otto club che a Giugno 2021 presentavano le calciatrici più mature in campo erano appunto dell’NWSL. In Italia, nella Serie A Femminile, il dato aggiornato al 2021 è di 25,5 anni.

Contemporaneamente causa e conseguenza di questa nuova crescita del calcio femminile di club è una maggiore mobilità delle giocatrici, i cui orizzonti adesso offrono scenari inediti fino a pochi anni fa estremamente ridotti. La possibilità delle squadre di costruire roster internazionali e attrarre nomi importanti provenienti da altre Federazioni rappresenta uno dei punti cardine dello sviluppo delle leghe nazionali e favoriscono proprio la costruzione di quella cultura dei club in Europa così radicata.

L’esempio più recente potrebbe essere quello del Chelsea Women che nella giornata del 25 Giugno 2021 ha fatto registrare già il sold out degli abbonamenti per la nuova stagione, per la prima volta nella loro storia. Un traguardo raggiunto proprio grazie agli ingenti investimenti che negli anni hanno portato in squadra top players come Sam Kerr, Magdalena Eriksson, Fran Kirby e Pernille Harder.

Non è un caso quindi che proprio la Women’s Super League presenti la percentuale più alta di minuti giocati da membri internazionali in campo, raggiungendo il 47% contro la percentuale più bassa appartenente ancora una volta al campionato olandese, ossia solo l’8,1%. Complessivamente però, questa apertura internazionale tra le dieci leghe principali ha osservato un aumento cospicuo negli ultimi cinque anni, dal 21,6% del 2017 al 33% del 2021.

Non sorprende in questo contesto il dato degli Stati Uniti che presenta ad oggi solo il 20,6% di minuti in campo per gli acquisti internazionali (persino la Serie A conta una percentuale del 34,8). Danneggiati inevitabilmente dall’esplosione della pandemia che ha colpito gli USA in maniera massiccia causando l’annullamento della stagione regolamentare NWSL nel 2020, anche prima dell’emergenza mondiale dovuta al COVID-19 la NWSL aveva perso sempre di più la rappresentanza straniera nella lega. Dopo la stagione del 2019 infatti, il campionato americano aveva testimoniato l’abbandono di calciatrici come Sam Kerr, Ellie Carpenter, Caitlin Foord e Hayley Raso, tutte oggi impegnate in top club europei.

Il crescente “nazionalismo” in NWSL ha rappresentato negli ultimi anni uno degli aspetti più negativi del campionato che in precedenza invece aveva vantato tra le sue fila alcuni dei più grandi nomi europei e non solo. Questa tendenza sembra però oggi pronta a regredire. La stagione 2021 della lega, grazie a una relativa stabilizzazione della pandemia e al diverso corso del campionato che negli Stati Uniti copre l’arco di tempo Aprile-Novembre, sta testimoniando l’arrivo di numerose calciatrici provenienti dall’Europa, come Sarah Bouhaddi, Dzsenifer Marozsan, Eugenie Le Sommer, Angharad James e Amy Turner, e anche nomi di spessore sudamericani come Shirley Cruz, Rocky Rodriguez (in NWSL già da alcuni anni) e l’argentina Mariana Larroquette.

Le squadre che presentano oggi il maggior numero di calciatrici internazionali sono l’Arsenal Women e l’Atletico Madrid, dove le giocatrici provenienti da altre nazioni giocano circa il 70% dei novanta minuti.

Oltre dunque ad aver testimoniato recentemente una particolare chiusura nazionalistica, a cavallo tra 2020 e 2021 in realtà la NWSL ha anche osservato un’inedita migrazione di statunitensi in Europa. Con 87 nomi militanti all’estero, gli USA sono ad oggi il luogo di provenienza più frequente delle calciatrici internazionali che giocano oltre i confini dell’NWSL. Anche in questo caso, la pandemia ha avuto il suo peso nella scelta delle giocatrici americane, alcune anche di alto profilo, di scegliere i campionati europei come nuove mete professionali. È stato il caso di Tobin Heath, Christen Press, Alex Morgan, Samatha Mewis, Rose Lavelle, Abby Dahlkemper ed Emily Sonnett (sei di loro hanno disputato la stagione 2020/2021 in WSL, Sonnett era invece in forza al Goteborg svedese). Ma in realtà i top club europei attraggono oggi soprattutto i talenti statunitensi più giovani: ne è un esempio la promessa Catarina Macario che, dopo aver terminato il percorso universitario alla Stanford University, ha preferito l’offerta dell’Olympique Lione al reclutamento in NWSL. Fattore di particolare considerazione nella scelta è anche l’arcaico sistema delle draft ancora in vigore nel campionato americano, che nega alle atlete la “free agency” presente invece in Europa, rendendole così a tutti gli effetti una proprietà esclusiva dei club che le reclutano dopo il college.

La Svezia è la seconda nazione che presenta il maggior numero di “espatriate”, con 39 calciatrici che hanno preferito i campionati esteri a quello nazionale. Solo 24 giocatrici invece hanno lasciato l’Inghilterra in cerca di nuovi orizzonti.

La crescita netta ed evidente a livello internazionale dei diversi campionati ha portato inevitabilmente a un aumento delle convocazioni nelle rispettive Nazionali maggiori per le calciatrici impegnate con le squadre di club. Se nel 2017 la percentuale di minuti giocati nelle leghe da parte delle rappresentanti delle Nazionali era del 39.9%, il 2021 ha visto un incremento importante il 45.9% di minutaggio.

È ancora una volta la WSL inglese a presentare i numeri migliori da questo punto di vista: le giocatrici impegnate anche nelle rispettive nazionali hanno infatti disputato nel campionato inglese il 66.2% del minutaggio totale, seguite dal 52.9% registrato in NWSL e il 50.7% della Divisione 1 Francese.

A livello di singoli club invece, è il Wolfsburg tedesco a detenere il record di calciatrici in squadra ad avere esperienze con le rispettive Nazionali, contando infatti ben 23 membri della rosa. Chelsea, Atletico Madrid, Arsenal, Bayern Monaco e Olympique Lione ne presentano almeno 20. In Italia le squadre con il miglior numero di giocatrici con presenze in Nazionale sono ad oggi la Juventus Women, la Roma Femminile e il Milan Women. In NWSL solo il North Carolina Courage presenta 15 calciatrici militanti nelle rispettive squadre nazionali.

Ad ogni modo, nonostante la positività del trend, e sebbene come espresso in apertura l’Europa resti la culla del calcio dei club anche dal punto di vista femminile ormai, la crescita registrata e riportata dal documento in questione tocca principalmente o quasi esclusivamente i top club di ogni league. Se in Francia ogni competizione è prettamente duello di sfida di Paris Saint Germain e Olympique Lione, in Women’s Super League resiste ben salda al vertice la triade composta da Chelsea, Arsenal e Manchester City Women non solo a livello di vittorie nel palmares ma soprattutto per le risorse e le strutture messe a disposizione delle squadre. Proprio la stagione 2020/2021 che ha visto un boom di arrivi dall’estero e soprattutto dagli Stati Uniti ha anche evidenziato delle serie debolezze nel professionismo inglese. Team femminili affiliati a top club maschili come Manchester United o Tottenham Ladies, accanto anche a squadre minori come Birmingham City Women, Bristol City Women o Liverpool Women militante nel secondo livello della piramide della Football Association, hanno rivelato e in alcuni casi denunciato trattamenti e strutture di certo non all’altezza dello status di professionismo della lega e del nome dei club, causando anche – come nel caso del Manchester United che sta subendo un’autentica emorragia di talenti – l’abbandono da parte di calciatrici nazionali e internazionali. 

Oltre i dati e le statistiche dunque, è necessario per queste leghe raggiungere un maggiore equilibrio di risorse che riduca l’ampio divario tra i pochi top club e il resto delle squadre militanti nel campionato. Un divario competitivo che a conti fatti la NWSL non presenta, come dimostra la classifica attuale che vede in testa l’Orlando Pride, fino al 2020 fanalino di coda della lega. Affinché il calcio femminile progredisca e sopravviva, c’è bisogno che tutte le squadre in gioco raggiungano uno status professionistico concreto e non solo nominale. O i campionati migliori rischieranno di rivelarsi presto o tardi solo triangolari ripetitivi tra i primi della classe.

Rita Ricchiuti
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