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Quella volta che la Nazionale femminile scrisse una pagina memorabile di storia

Calcio femminile Italia Iran

C’è stato un tempo in cui la Nazionale italiana di calcio femminile era tra le più forti al mondo. Disputava finali mondiali e vinceva coppe europee. Una squadra ammirata e temuta in svariati angoli del pianeta.  

Era la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta. Gli anni dei grandi movimenti di massa che portarono cambiamenti socioculturali di rilievo, di cui ancora oggi ne vediamo i riflessi.

In un contesto in continuo mutamento, animato da una visione progressista, dove l’emancipazione della donna ricopriva un ruolo determinante, in Italia fioriva il movimento calcio femminile. Nel 1968 veniva disputato il primo campionato italiano vinto dall’Associazione Calcio Femminile Genova, società nata l’anno prima, che in una finale giocata a Pisa, sconfisse la Roma per 1-0 con gol di Albertina Rosasco.

Nel panorama calcistico emergevano talenti eccezionali, come Betty Vignotto, che scrisse pagine memorabili di calcio ed è considerata tutt’ora una delle calciatrici italiane più forti di tutti i tempi. Ma c’erano anche Elena Schiavo, Maria Grazia Gerwien, le giovanissime, Maurizia Ciceri e Stefania Medri, ragazze animate da una forte passione, di voler fare quello che amavano di più, ovvero giocare a calcio.

Sempre nel ‘68 la Nazionale Italiana di calcio disputò la sua prima partita, a Viareggio, contro la Cecoslovacchia. Da lì in avanti è un susseguirsi di entusiasmo che porta alla creazione della prima Federazione Italiana Calcio Femminile, ente non riconosciuto dal Coni, e all’organizzazione di tornei prestigiosi. L’Italia si consolidava nell’élite del calcio femminile mondiale e tutti volevano affrontarla.

Nel 1969 si disputò in Piemonte la prima Coppa Europa vinta dalle Azzurre che, nella finale di Torino, sconfissero la Danimarca 3-1 allo stadio Comunale.

L’anno seguente furono organizzati nel nostro Paese i primi Campionati del Mondo, non riconosciuti però dalla FIFA, e la Nazionale italiana raggiunse anche qui la finale, che perse contro 2-0 la Danimarca.

Le cronache di allora raccontano di un entusiasmo incredibile per quella partita. In un primo momento furono messi in vendita solo 20 mila biglietti, ma a poche ore dall’inizio della gara, ai cancelli si presentarono quasi 50 mila persone e gli organizzatori non poterono far altro che aprire le porte a tutti.  

Il torneo, al quale parteciparono, oltre all’Italia, l’Austria, la Danimarca, la Germania Occidentale, l’Inghilterra, il Messico e la Svizzera, fu ospitato nelle città di Milano, Salerno, Bari, Napoli, Genova, Bologna e Torino.  

Un evento organizzato con il supporto anche di uno sponsor, l’azienda Martini & Rossi, che diete il nome anche alla coppa. Tutto questo a testimonianza di come il nostro Paese era al centro dello sviluppo del calcio femminile in quegli anni.

Agli occhi del mondo, l’Italia era infatti un punto di riferimento per il calcio delle donne. Molte squadre nazionali volevano organizzare partite contro le Azzurre, per confrontarsi, vedere il livello di crescita, emanciparsi.  

“Il calcio femminile era, come tutto in quegli anni, una rivoluzione”

Maria Grazia Gerwien

Nel 1971 la nazionale di calcio femminile dell’Iran organizzò due amichevoli contro l’Italia a Teheran. Sì, avete letto bene, proprio l’Iran, che sotto il regno di Mohammad Reza Pahlavi diede un forte impulso al movimento femminile. Lo scìa di Persia, salito al trono nel 1941, prosegui sulla strada tracciata dal padre di modernizzazione del Paese, con le donne che guadagnavano maggiore visibilità pubblica. Il velo fu bandito e vennero adottate una serie di provvedimenti che favorirono la condizione femminile dell’epoca. Una riforma che prese il nome di “rivoluzione bianca”, con lo scopo di modernizzare l’Iran nel più breve tempo possibile e far emergere le donne iraniane, oppresse per tanti secoli dalla sharia islamica.

È in questo contesto che Farah Diba, moglie di Reza Pahlavi e ultima imperatrice di Persia, si fece promotrice di due amichevoli di calcio femminile tra la Nazionale Iraniana e quella Italiana. Il calcio per le donne era stato introdotto in Iran nel 1969 da Farvis Abutaleb, come riporta Giovanni Di Salvo su glieroidelcalcio.com.

Un’iniziativa molto cara Farah Diba, che vedeva nel calcio uno potentissimo strumento di emancipazione femminile. Dopo aver concesso alle donne il diritto di voto e quello allo studio, credeva fortemente nel valore umano dello sport. Come darle torto. Noi siamo qui, 50 anni dopo, ancora a parlare di discriminazioni e violenze sulle donne, come se il mondo su certe questioni, o si fosse fermato, oppure avesse iniziato a girare al contrario.

L’Italia partì alla volta di Teheran il 5 maggio da Fiumicino con un volo delle linee Scandinave proveniente da Copenaghen. Prima di partire le ragazze si sottoposero a una serie di vaccinazioni.

All’arrivo in Iran, la comitiva italiana, guidata da dall’Avv. Trabucco e dal responsabile della federazione Valentini, alloggiava all’Hotel Sina, nella zona centrale della città.  Le calciatrici azzurre ricordano che sotto l’albergo gruppetti di fan e appassionati si erano radunati per vederle.

Nel soggiorno persiano le nostre calciatrici hanno presenziato ad alcuni eventi organizzati per l’occasione, come l’incontro all’Imperial Country Club con Farah Diba, la visita all’ambasciata italiana per un colloquio con l’allora ambasciatore Gerolamo Pignotti e alcune personalità di spicco del mondo calcistico iraniano, ma soprattutto l’incontro con il generale Parvis Khosrovani, che ricopriva la più alta carica sportiva dell’Iran.

Il 7 maggio 1971 l’Italia scese in campo e vinse contro l’Iran per 2-0. Le reti furono siglate da Medri e Bertolo. Le azzurre sbagliarono anche un calcio di rigore con Nonni. Era la prima volta che una squadra iraniana femminile affrontava un’avversaria straniera.  Due giorni dopo ci fu la seconda gara, con le Azzurre che di reti ne segnarono ben cinque. In gol andarono Nonni, Gerwien, autrice di una doppietta, Pesenti e Gualdi.

Ma il vero spettacolo fu sugli spalti dello stadio Amjadieh, gremito di donne felici, con una piccola rappresentanza anche italiana.

In Iran però tutto cambiò con la rivoluzione islamica del 1979. Alle donne, furono vietate moltissime cose, tra cui assistere alle partite di calcio. Un divieto che si è protratto negli anni e solo di recente le donne sono potute tornare sugli spalti di uno stadio di calcio.

Nel 2019, dopo una serie di pressioni esercitate dalla FIFA, il governo iraniano aveva concesso l’ingresso a un numero limitato di donne e solo per alcuni rarissimi eventi. Nella sfida che vide opposte Iran e Cambogia sugli spalti dello stadio Azadi di Teheran c’erano 3500 donne.

A seguito della morte di una giovane tifosa dell’Esteghlal, che si è bruciata davanti al tribunale per rivendicare il diritto delle donne di poter entrare allo stadio, Teheran ha nuovamente imposto il divieto, tolto solo il mese scorso in occasione delle gare di qualificazioni al Mondiale maschile.

Quante cose sono cambiate nell’arco di cinquant’anni. Quell’alba del movimento calcio femminile, quella partita tra Iran e Italia, sembrava potesse portare a un futuro diverso, ma il corso della storia seguì un’altra strada.  

Angelo Caroli, ex calciatore, giornalista e scrittore, autore del libro “La donna nel pallone”, riferendosi alle calciatrici scriveva “giorno verrà in cui camminerete al sole e farete ombra”.   

Giuseppe Berardi
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Per approfondire

https://www.glieroidelcalcio.com/2019/10/16/1971-donne-calcio-iran/

https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2019/11/04/le-donne-e-il-calcio-in-iran-nel-racconto-di-mauraGenova11.html

https://it.wikipedia.org/wiki/Condizione_della_donna_in_Iran

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