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Rivalità, vendette e gli altri motivi per cui la finale olimpica in Canada conta

La nazionale femminile canadese di calcio femminile giocherà oggi la sua prima finale olimpica. Questo già dice molto su quanto possa essere incredibile quanto fatto da Sinclair e compagne, ma non dice proprio tutto. O almeno non lo dice per i tifosi canadesi, ci tiene a specificare Calli Mingopoulos.

A Toronto sono le 15.30 del giorno prima della finale e Calli, tifosa canadese, ex calciatrice e illustratrice, vuol partire dall’inizio per spiegare la portata di quello che è successo a Tokyo.
“Quanto sai della storia del calcio femminile in Canada degli ultimi dieci anni? Perchè servirebbe per capire come mai questa finale conta”.

Prima di Londra 2012, in effetti, del calcio femminile in Canada non si parlava molto. La storica rivalità sportiva con gli Stati Uniti si consumava soprattutto tra hockey e basket ma al calcio in generale, e a quello femminile in particolare, i canadesi non sono mai stati molto interessati. “Prima dei Mondiali in Germania del 2011 in realtà, nemmeno io che ho sempre giocato a calcio sapevo dell’esistenza di una nazionale femminile di calcio” dice Calli, facendo eco a storie che anche qui in Italia suonano familiari a molti. È in occasione di quel mondiale che lei si è innamorata della sua nazionale e che, per la prima volta, ha pensato possibile che qualcuno iniziasse a parlare di uno sport al femminile che non fosse il solito tennis.

Il calcio però, oltre a rivelazioni personali come questa, è in grado di regalare momenti che diventano storici, veri e propri motivi di orgoglio per un’intera nazione e fonte di decennali motivi di risentimento, oltre a richieste di restituzioni di quadri nel caso dell’Italia. Generalmente questi episodi sono legati alle squadre maschili, invece nel caso del Canada è alla nazionale femminile che tutti pensano e quel momento è la semifinale dell’olimpiade di Londra 2012.

Il Canada ai giochi olimpici ospitati dalla capitale inglese chiude dopo Svezia e Giappone la fase a gironi. Qualificate ai quarti di finale come migliori terze, le canadesi devono affrontare le padrone di casa, prime del loro gruppo. A sorpresa sono le nordamericane a vincere e ad avanzare verso la semifinale. Ad aspettarle, all’Old Trafford, trovano gli Stati Uniti.

Per rendere chiari i precedenti tra le due squadre, Calli si affida ai numeri. Degli ultimi 36 incontri tra le due squadre, gli Stati Uniti ne hanno vinti 30 e pareggiati 6. Per tornare all’ultima volta che il Canada ha battuto gli USA, prima della semifinale di Tokyo, bisogna tornare al 2001 quando Christine Sinclair era l’unica giocatrice, di entrambe le squadre, in campo in quella partita.

Nella semifinale di Londra però, il Canada stava finalmente cambiando il finale di una storia nota. Ad aprire le marcature è proprio Sinclair, rispondono però le americane con Rapinoe. Ma Sinclair è in stato di grazia e ritrova il vantaggio. Rapinoe prova ancora a riportare a galla le compagne, ma Sinclair con una tripletta fissa il risultato sul 3-2. A questo punto sui social media canadesi il cognome di Sinclair inizia a diventare familiare e nessuno vuole più perdersi il finale di questa sfida all’ultimo gol. Calli è in un bar di un piccolo paesino quel giorno, in vacanza, e ad ogni gol della capitana sempre più persone si avvicinavano allo schermo.

Ed è proprio verso la fine che la partita prende una brutta piega. Abby Wambach, appellandosi ad una violazione della regola dei sei secondi da parte del portiere canadese, riesce a convincere l’arbitro ad ammonire Erin McLeod e ad assegnare all’USWNT un calcio di punizione dal limite dell’area. Dopo la battuta la palla finisce sul braccio di un difensore, l’arbitro assegna il rigore e Wambach non sbaglia: finisce 3-3 nei tempi regolamentari.

Al minuto 123, Alex Morgan segna di testa il gol del definitivo 4-3 che ancora detiene il record di rete più ritardataria della storia dei tornei olimpici e FIFA. Quella vittoria degli Stati Uniti è rimasta nella memoria dei canadesi come il furto di una medaglia d’oro che la loro squadra aveva meritato. Così clamorosa che nel 2020, otto anni dopo, in un pub durante una partita del Liverpool, Calli racconta di aver sentito due uomini di mezza età al tavolo dietro di lei discutere ancora di quella partita.

Dopo quasi un decennio da quella partita, per il Canada è arrivata la resa dei conti. La semifinale olimpica è contro la Uswnt e a decidere le sorti della partita è ancora un rigore. Christiane Sinclair, unica presente nell’ultima volta che il Canada è riuscito a spuntarla sulle loro eterne rivali, però decide di non sfidare la portiera statunitense, sua compagna di squadra a Portland. In quello che ha tutta l’aria di essere un passaggio di consegne, prende il pallone e lo cede a Jessie Fleming. La squadra è arrivata a Tokyo infatti è un mix tra veterane che quella sconfitta a Londra 2012 l’hanno vissuta in campo e ragazze che l’hanno vista a 14 anni con gli occhi incollati alla televisione. Tra queste forse proprio Jessie Fleming, che a London, Ontario, ci è nata nel 1998, era destinata a riadattare il finale di quella che era sempre sembrata una fiaba dei fratelli Grimm.

Dopo aver battuto gli Stati Uniti, dice Calli, per il Canada è come aver già vinto. Certo, se vogliamo parlare di vendette da prendere, è la Svezia che ha eliminato le canadesi alla coppa del mondo del 2019 in Francia. Ma sarebbe inutile voler far sembrare a tutti costi un torneo olimpico come una puntata di Game of Thrones.

La Svezia è una selezione di cui non si parla molto, ma che non manca mai le occasioni importanti. È una buona squadra, conferma Calli, e non le dispiacerebbe avere in squadra Caroline Sieger, una delle giocatrici che, insieme alla determinazione e alla grinta del Canada, l’ha fatta innamorare del calcio femminile.

Un altro cerchio che si chiude, in attesa di vedere nella finale a cinque cerchi chi se la cava meglio con compasso.

Giulia Beghini
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