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Quella volta a Wembley, quando la vera regina fu Carolina Morace

Carolina Morace

È domenica 11 luglio, un giorno che da trentanove anni è domenica anche se cade di lunedì. L’Italia si sveglia senza fretta, ma senza calma: ciabatte, costume, vestaglione di flanella magari no, tavolo di fronte ad un maxischermo, cibo di cui vantarsi, Peroni gelata, tifo indiavolato e, dai, anche rutto libero.

La partita più famosa del cinema italiano è Inghilterra – Italia, nella fattispecie, un’Inghilterra – Italia che non è stata mai disputata.

Sembra un gioco di scaramanzia, tanto ne abbiamo per tutti, visto che poi, seppur sconfitti, ai mondiali del ‘78 ci siamo andati noi. Eppure, un Sabato 18, in Diretta da Wembley, c’è stata davvero una gara, amichevole per i tabelloni ma epica per i cartelloni.

È il 18 Agosto del 1990, le notti hanno perso la magia, Sara Gama ha un anno e mezzo, e a Londra scendono in campo le azzurre per fronteggiare le padrone di casa. Il match è il prepartita del Charity Shield, una classica che oppone Liverpool e Manchester United, ma che quella volta ha un po’ di riflettori in meno puntati.

C’è una ventiseienne nelle fila tricolori, si chiama Carolina Morace, è nata all’ombra del leone di San Marco e si distingue per una folta chioma chiara, una criniera si potrebbe ben dire, se non fosse che di leoni, dall’altra parte della barricata, ce ne sono tre.

Forse proprio per questo lei fa la tigre, così poi soprannominata, e compie un’impresa storica, tuttora solitaria. Prima della gara l’allenatore le dice: “Se segni a Wembley puoi definirti a tutti gli effetti una calciatrice” e lei di gol ne fa addirittura quattro.

Nessun’altra azzurra l’aveva e lo ha più fatto e nessun azzurro lo ha mai fatto ancora. Divenuta la numero nove per antonomasia, aveva iniziato a giocare a calcio come ogni bambino che pratica street football senza saperlo, suo padre aveva anche attrezzato una sorta di campetto per lei e i suoi fratelli e così tutto era fluito con naturalezza, come fa qualsiasi cosa sull’acqua a Venezia.

Il giorno dopo quella partita, di domenica, la Gazzetta dello Sport in prima pagina scrive: ‘’ll centravanti della nazionale femminile con un poker stende l’ Inghilterra – Ha esordito con la maglia azzurra quando aveva 14 anni. (…) Classe e grinta di cui ha fatto sfoggio ieri in Inghilterra alla sua ottantesima presenza in nazionale portando a 56 i suoi gol in azzurro. Gol di potenza quasi “maschili”, nella difficile battaglia per colmare le divergenze.’’ Incalza Repubblica: ‘‘Il calcio femminile ha conquistato il tempio dello sport inglese per eccellenza. Fatto insolito per uno sport che in Gran Bretagna è regno assoluto del sesso forte sia in campo che sugli spalti, ma pienamente motivato dal gioco elegante e accattivante delle ventidue protagoniste. E a giudicare dal risultato almeno il calcio femminile italiano è decisamente più avanti di quello inglese.’’

In quanto all’ultima frase, siamo abituati a sentire molto spesso il contrario eppure le parole di Carolina a corredo sono più che attuali: “Mi fa una gran rabbia lo stupore della gente, la sottovalutazione del nostro calcio che ormai ha raggiunto alti livelli, le scuse sempre pronte per i nostri gol, come quello che segnai da 30 metri definito casuale, quando invece se l’ autore fosse stato Maradona sarebbe entrato negli annuali”.

Dopo circa trent’anni da quelle parole, nel 2019, la più rappresentativa delle azzurre è entrata tra le Legends del Golden Foot Award. Quella del Principato di Monaco è conosciuta come Champions Promenade, si tratta una sorta di Walk of Fame del calcio sul modello Hollywoodiano.

Tra le impronte lasciate quelle illustri di campioni come proprio Maradona, Di Stefano, Pelè, Platini, Muller, Zidane e di molti italiani da Zoff a Buffon, passando per Riva, Rivera, Rossi, Baresi, Pirlo, Baggio, Del Piero e Totti. Scorrere la gloriosa lista significa fare un lungo viaggio e imbattersi in George Best per poi incontrare Dunga, inseguire Eusebio e passare accanto a Puskas. Ci vogliono però chilometri e pazienza prima di incontrare una donna: è Mia Hamm, campionessa del mondo con gli USA nell’iconico mondiale 1999. A farle compagnia adesso c’è anche Carolina Morace, prima italiana in assoluto ad avere l’onore di figurare sulla promenade.

Quel giorno a Wembley si scopre che una quaterna non la fanno solo le zie giocando a tombola dopo il pranzo di Natale e stasera ci si torna, mentre a Cannes trasmettono il film di Nanni Moretti, unico Italiano in gara, e a Wimbledon Berettini cerca la gloria.

L’11luglio è una domenica azzurra e chi meglio di Carolina Morace come portabandiera?
Per il resto ‘‘la corazzata Potëmkin resta una cagata pazzesca.’’

Marialaura Scatena
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