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Megan Rapinoe e le discriminazioni ancora in atto nello sport statunitense

Megan Rapinoe è stata invitata alla Casa Bianca in occasione dell’Equal Pay Day e ha parlato con franchezza e lucidità sulle discriminazioni

L’Equal Pay Day è la giornata dedicata alla sensibilizzazione sul divario retributivo di genere. Cade ogni anno in una data diversa e quest’anno negli Stati Uniti è stata celebrata il 24 marzo. Proprio in tale occasione la Casa Bianca ha invitato Megan Rapinoe e la ex calciatrice Margaret Purce.

Per chi conosce Megan Rapinoe non sarà una sorpresa, anche questa volta la stella della nazionale statunitense ha colto la palla al balzo per dire le cose come stanno e mettere tutti in riga, parlando in modo schietto della discriminazione purtroppo ancora subita dalle donne e dalle persone LGBTQ+ nello sport.

Nel suo discorso è partita dalla sua esperienza personale, presentandola come prova del fatto che non importa quanta visibilità hai, non importa quanto lavori e quanto dimostri di essere capace; neanche una personalità come lei, ormai universalmente riconosciuta nel suo status, è davvero esente dalla morsa della disparità.

E “se può succedere a noi”, dice, “se può succedere a me, con la visibilità dei riflettori sempre puntati addosso, certamente può succedere – e succede – a ogni persona marginalizzata a causa del suo genere”.

Vale a dire: se la discriminazione è ancora presente in quella che sembra la cima, fra coloro che parrebbero aver quantomeno sfiorato il soffitto di cristallo, ecco che risulta lampante che man mano che si scende dal soffitto verso il pavimento, dalle donne con più visibilità verso quelle ancora più in ombra, dalle donne eterosessuali verso le donne non eterosessuali, dalle donne cisgender verso le donne trans, e ancora verso le donne trans non eterosessuali e in ombra, ecco, sarà inevitabile trovare un livello di discriminazione sempre maggiore.

Lo dice bene Rapinoe nella sua critica al fantomatico sogno americano:

“In questa nazione spesso ci viene detto che se lavoriamo duramente e otteniamo dei risultati, allora verremo ricompensate e ricompensati in modo giusto ed equo. […] Ma questa promessa non è mai stata fatta a tutti.”

Senza fare una gara a chi ha più discriminazioni, è ad ogni modo innegabile che al momento il prezzo più caro nel mondo del calcio femminile sia pagato dalle donne transgender e dalle persone non-binary. Se alle donne cisgender non viene garantito il diritto a equo compenso ed eque condizioni lavorative, nel caso delle donne transgender la discriminazione parte ancor prima: a loro spesso non viene garantito neanche il diritto di giocare a calcio.

Negli ultimi mesi, diversi stati americani hanno tentato di far passare leggi che di fatto impedissero alle persone transgender di aver accesso allo sport, o perlomeno di giocare in una squadra che fosse conforme alla loro identità di genere.

Tutto ciò in risposta al provvedimento legislativo del presidente Biden, firmato nel suo primo giorno in carica, che mira a far rispettare in ogni stato la decisione della Corte Suprema circa il principio di non discriminazione in base all’orientamento sessuale e/o all’identità di genere sul luogo di lavoro. Biden ha esteso l’interpretazione di tale sentenza affinché arrivasse a includere anche la tutela delle persone LGBTQIA nello sport, con un focus sullo sport praticato nelle scuole e università e con una particolare attenzione alle persone transgender.

In seguito al suo discorso, Rapinoe ha risposto ad alcune domande poste dai membri del Congresso, una delle quali andava a toccare proprio questo punto: Scott Franklin ha insistentemente chiesto alla calciatrice se, in quanto professionista ormai affermata, non credesse che le persone transgender potessero penalizzare le calciatrici “biologicamente donne” [si riporta la terminologia utilizzata dal rappresentante della Camera].

Rapinoe non ha esitato a rispondere: “Ho giocato con una persona trans e posso assicurarLe che non è crollato il mondo”.

Una replica secca a una domanda che palesava superficialità e ignoranza su di una questione più che delicata. Ma, soprattutto, una replica che ancora una volta consente a Megan Rapinoe di non scendere a compromessi e di riportare l’attenzione lì dove la vuole lei: sulle persone, sui diritti di tutte le persone e sull’enorme disuguaglianza nello sport che nessuno si deve illudere di aver già sanato.

Martina Cappai

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