Nel mondo del calcio viene utilizzata con costanza la parola talento, spesso per descrivere giocatrici con capacità superiori alla media. Quelle calciatrici che ti fanno rimanere a bocca aperta con le loro giocate, scelte e intuizioni geniali, che neanche comodi sul divano di casa avreste potuto immaginare di fare.

Ma cosa c’è alla base del talento? E’ una concezione puramente astratta, radicata dentro uomini e donne elette o ha dei collegamenti con il nostro corpo e la realtà in cui operiamo?

talento /ta’lɛnto/ s. m. [dal lat. eccles. talentum “dono divino”, con riferimento alla parabola evangelica nella quale i talenti affidati dal signore ai suoi servi sono simbolo dei doni dati da Dio all’uomo]

Treccani

Senza scomodare le divinità come nella definizione di Treccani, la risposta sta nelle neuroscienze. Senza addentrarci in concetti troppo aulici e scientifici, possiamo dire che il talento risiede nel cervello delle persone.

Alla nascita il cervello di un bambino ha circa 100 miliardi di neuroni che rimarranno più o meno costanti durante tutta la sua vita. Quello che però distingue ogni persona sono le distinte connessioni sinaptiche o neurali che crea in base alle diverse stimolazioni a cui è sottoposto. Nel 1992 il professor Giacomo Rizzolatti scopre i neuroni a specchio. Rizzolatti sostiene che esistano due tipologie di neuroni: quelli canonici e quelli a specchio.

I primi si attivano quando un individuo osserva un oggetto determinando la possibilità di interagire con esso, per esempio vedo un pallone e lo calcio. I neuroni a specchio si attivano quando a compiersi è un’attività finalizzata, ovvero calcio PER fare gol, oppure quando si osserva qualcuno compiere un’attività finalizzata già nota al soggetto.

Applicato al calcio, i neuroni a specchio di Cristiana Girelli si attivano quando riceve una palla da Barbara Bonansea al limite dell’area, orienta il controllo e calcia all’angolino opposto, come nel caso del gol all’Empoli.

Nella sua opera “Mind Time. Il fattore temporale nella coscienza” Benjamin Libet, neurofisiologo e psicologo statunitense, ha esposto la sua “Time on Theory”. Libet sostiene che in seguito ad uno stimolo avvenuto in t=0 la risposta motoria è inconsapevole e avviene prima della presa di consapevolezza. Successivamente la consapevolezza viene retrodatata, tanto da credere che la scelta fosse presa consapevolmente.

Per capire meglio le parole di Libet, prendiamo come esempio l’assist di Veronica Boquete per il gol di Natasha Dowie contro il San Marino Academy.

Secondo Libet, la risposta motoria avviene di media 100 ms dopo lo stimolo, mentre la presa di consapevolezza 500ms dopo. Quindi Boquete ha eseguito prima il passaggio filtrante rispetto alla sua stessa coscienza di effettuarlo. I talenti, come Girelli o Boquete, possiedono e sviluppano connessioni neurali che le consentono in primis di dare risposte motorie qualitativamente importanti e in un tempo inferiore alla media, come è stato stimato da Libet.

Queste giocate possono essere considerate delle manifestazioni del talento? Certo che sì, ma ora chiediamoci come il talento delle due giocatrici, che abbiamo visto essere caratterizzato da forti connessioni neurali, l’ha spinte ad eseguire queste determinate azioni.

Sia i neuroni a specchio di Rizzolatti che la risposta motoria di Libet presuppongono la conoscenza della situazione di gioco per l’effettuazione di una scelta. La calciatrice lavora in un ambiente complesso, caratterizzato da dieci compagne, undici avversarie, dal pallone, dal campo di gioco e, si spera presto, dai tifosi.

La “Teoria dei sistemi ecologici” di Urie Bronfenbrenner, psicologo statunitense, è stato il primo autore a mettere l’accento sull’importanza dell’ambiente. Lo sviluppo umano è strettamente legato all’intero sistema ecologico in cui si verifica la crescita, in cui l’individuo, attivo e dinamico, impara a comprendere, interpretare e modificare l’ambiente in cui è immerso. Rapportato al calcio possiamo dire che attraverso l’esperienza (partite, situazioni di gioco, allenamenti, analisi, …) la calciatrice acquisisce le competenze per padroneggiare l’ambiente, aumentando il “potenziale” del suo sistema nervoso e quindi alimentando il suo talento.

Barbara Latorre, ex calciatrice del Barcellona ora alla Real Sociedad, segnò nel 2016 una rete eccezionale, tanto da essere paragonata ad una famosa di Lionel Messi. L’attaccante spagnola superò sei avversarie più il portiere, insaccando in condizioni precarie. Il talento di Latorre, acquisito con l’esperienza, le permise di dominare l’ambiente e di dare risposte motorie rapide, che le consentirono di fronteggiare l’opposizione delle avversarie.

Il talento non è quindi un dono divino o una massa presente nel cervello di alcune persone. E’ legato all’esperienza, alle connessioni sinaptiche diverse in ogni individuo e create in base all’esperienza che gli consentono di dare risposte motorie finalizzate con anticipo rispetto alla media.

Non dipende dalle capacità condizionali (velocità, forza e resistenza) che caratterizzano il gioco del calcio e spesso valgono come discriminante tra quello maschile e femminile.

Secondo recenti studi, gli uomini possiedo più neuroni, ma le donne tendono a sviluppare maggiori connessioni. Non vogliamo trarne conclusioni affrettate, di per certo nel calcio femminile è pieno di talento e di calciatrici che hanno le capacità per metterlo in mostra.

Giulia Beghini
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Foto: AC Milan – Juventus FC

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