Oggi sono leader, ognuna nella propria squadra. Ma c’è stato un tempo in cui lottavano insieme.

«Sì, io è un gigante-soffia-sogni»

Al mondo solo in pochi parlano in terza persona: Cesare, che è morto da talmente tanto tempo da farci dimenticare che è stato vivo, i megalomani, i bambini e il GGG, Grande Gigante Gentile, che nessuno ha mai visto. 

Si potrebbe obiettare che i giganti non esistono, anche perché non sarebbe facile per loro nascondersi, già a otto anni se ti confondi con la tenda spuntano dalla finestra i tuoi piedi, figuriamoci i loro. In realtà non c’è trucco, i giganti sono visibilissimi, dipende solo da dove si guarda il paesaggio. Se sali sulla terrazza del Pincio e allunghi il braccio ad esempio, puoi prendere in mano la cupola di San Pietro e sei tu il gigante a quel punto. Se invece sei in mezzo alla piazza, con intorno il colonnato del Bernini, il gigante è ‘‘Er Cuppolone’’ che tu guardi dal basso.

Ma non si tratta solo di essere grandi di statura, saremmo tutti votati al basket se così fosse, nel quotidiano si può essere grandi d’animo, d’ingegno, di ambizione, anche di paure e una miriade di altre cose ad essere onesti, però pure e soprattutto in determinazione.

Ed è qui che entrano in scena i personaggi, quelli con le caratteristiche giuste, con il piglio avventuroso, che non sono mica gli scrittori che li vanno a cercare, arrivano loro. È il caso del GGG di questa storia, un gigante di ben altre fattezze, una comunione d’intenti, una cooperazione, una specie di apprendistato per arrivare ad essere: Giacinti, Girelli e Giugliano, 

È la stagione 2017/2018 quella che le tre atlete giocano a Brescia. Cristiana ha 27 anni, da quattro indossa la maglia delle leonesse e per quell’anno, dopo gli addii in blocco, prende i gradi di Capitano. Valentina è appena arrivata dal Mozzanica, di anni ne ha 23, ed è la carta in più nel mazzo di Piovani. Manuela invece ha vent’anni, arriva dal Verona ed è il più giovane talento delle tre. Due attaccanti e una centrocampista, tre modi diversi di intendere il gioco, tre premesse di un futuro tinto di colori e vissuti differenti. 

Quell’annata è un sipario sul Brescia, senza lieto fine tra l’altro visto lo scudetto sfumato ai rigori contro la Juventus e la coppa italia sfuggita contro la fiorentina, ma i sipari si chiudono e si aprono, non è questo il tipo di spettacolo che finisce o che si  replica.

Il primo palcoscenico su cui si riaccendono i riflettori è quello di Milano, sulla sponda rossonera del naviglio. Il neonato Milan si è fatto burocraticamente sulle ceneri del Brescia ed ha conservato il capocannoniere del campionato. Valentina Giacinti è un’attaccante verticale con il superpotere di trovare profondità anche in una pozzanghera, che tra l’altro non disdegna essendo sempre pronta a battagliare su qualsiasi terreno per la causa. Gli eroici furori, allo stesso modo dei torti, si svelano presto sia ai compagni che ai tifosi, ed è per questo che proprio sul braccio di Giacinti si è stretta la fascia da capitano. Riferimento non solo offensivo, la numero 9 è il cuore delle squadra lombarda, ne è divenuta in poco tempo il simbolo capitalizzando tensioni ed emozioni, tendendo, da buon attaccante, al tanto atteso e sperato primo trofeo marchiato Milan che si augura quanto prima di alzare.

Manuela Giugliano va in scena invece a Roma, dopo esser passata proprio per Milano. Più che da palco però lei è una da cabina di regia. Un talento forse ancora grezzo ma vivido in tutte le sue esperienze bagnate quasi sempre da battesimi importanti come quando, al mondiale, ha servito tre assist alle compagne nello stesso match uguagliando un totem come Alex Morgan. Le intuizioni di Giugliano sembravano destinate a brillare oltremodo sotto il sole capitolino, e ancora lo sono, ma la foschia chiede tempo per dissiparsi. Non ci si fa mai l’abitudine nonostante siano frequenti, è che gli infortuni nel calcio sono quel bello della diretta di cui si vanta Pippo Baudo; gli atleti ne farebbero volentieri a meno. Quando Giugliano gioca sotto i suoi standard è facile capirlo perché è lei quella che riesce ad alzare la testa più delle altre per vedere quanto sta succedendo in campo. L’età è un vantaggio sicuramente ma non un requisito necessario per prendere in mano la situazione che è quanto sta facendo Manuela in giallorosso, con il suo passo, anche perché la “Roma non s’è fatta in un giorno”. 

Altro teatro è quello di Torino, attrice protagonista della compagnia Cristiana Girelli. Arriva dopo aver speso tutto fino alla fine con il Brescia, ad un anno dall’inaugurazione della Juventus, e ad attenderla trova tante vecchie conoscenze e una novità assoluta in bianconero: la maglia numero dieci. Teoricamente Cristiana è una che potrebbe indossare anche la nove, ha il fisico, ha i colpi, la testa e i colpi di testa, ma non staziona mai in area per troppo tempo, a meno che non piovano cross. Dalla rincorsa al mondiale ad oggi, la bomber ormai trentenne, ha raffinato il suo mestiere e, paradossalmente, l’ha fatto iniziando a sporcarsi di più ripiegando in difesa o facendo a sportellate anche spalle alla porta. Non che fossero novità ma invecchiare non è solo scoprire l’esistenza della cervicale, è maturare e in termini di leadership e peso in squadra e Girelli l’ha fatto offrendo una sorprendente soluzione di continuità.

Se questi sono solo singoli spettacoli, la nazionale ne è il naturale crossover, il punto di vista privilegiato su un movimento intero che ha potuto qualche volta giganteggiare sulle spalle di quelle che hanno condiviso obiettivi comuni, sia da compagne che da avversarie. 

Marialaura Scatena
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1 commento

  1. Brava, mi sei piaciuta sono ragazze di cuore. Anche se pedalano il calcio, credo sorridano anche dentro. Sono una risorsa per la nazionale. Ma davvero Girelli pensa al tempo. E la Giugliano è un poco triste perche sembra che ora non si siede sui gradini di piazza di spagna. Che l’andrei a trovare se potessi, ma ora che arrivo mi metto seduto per la stanchezza.

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