L’8 Giugno di due anni fa la nazionale italiana di calcio femminile strappava il pass per il mondiale all’Artemio Franchi. Uno stadio vero, uno di quelli dove gli uomini giocano ogni anno anche senza occasioni speciali. Calcare quel terreno per poter arrivare in Francia è stato lo speranzoso incipit di una storia di rivendicazione e sacrifici.

Trovarsi “Ragazze mondiali” proprio nell’anno in cui la nazionale maschile non partecipava alla Coppa del Mondo è stata un’arma a doppio taglio. Il merito è diventato in parte un azzurro di scorta, un azzurro minore, un pretesto per far pesare agli uomini di non essere riusciti a fare ciò che invece avevano fatto le donne.

Se si fa una cernita di quanti hanno davvero guardato al calcio femminile con passione e attenzione, e non con commiserazione alla ricerca di un motivo per portare avanti una lotta per la parità solo perché politicamente corretta, si contano una minoranza di persone su un ampio campione che si millanta tale. Il femminismo è una cosa seria, non preme per valorizzare un prodotto perché sono le donne a costruirlo ma perché quelle donne lo costruiscono bene.

Il movimento del calcio femminile somiglia ad un giovane laureato che avrebbe tutte le carte in regola per essere competitivo ma vive in una società che cerca solo lavoratori con esperienza. Negli ultimi due anni la Serie A è sicuramente cresciuta ma l’entità della crescita appare più chiara a chi ne conosce il passato. Se è vero che l’ingresso dei grandi club è una premessa indispensabile per un più saldo avvenire, è altrettanto vero che è costata il sacrificio di alcune realtà storiche. Che valore hanno quelle perdite se i cambiamenti non si attualizzano?

A cambiare negli ultimi tempi è stata più che altro la cornice intorno al calcio delle donne. Sono stati ritagliati spazi televisivi, messi in campo sponsor, inaugurati blog e incolonnati paragrafi sulla carta stampata ma, all’interno, la situazione non è poi così tanto diversa da come era prima e, sopratutto, il progresso non è stato omogeneo. Solo alcuni dei club ad oggi iscritti alla Serie A infatti avrebbero garantito l’applicazione dei protocolli pensati e avvallato la prospettiva della ripresa della competizione; certo, le responsabilità sono in parte anche delle singole società ma la radice del problema è molto più profonda.

La situazione di crisi mondiale a cui ci ha costretto la minaccia del Covid-19 ha palesato in maniera netta i tempi di ritardo di un intero sistema. Cercare colpevoli o addurre giustificazioni alle azioni di questo momento è alquanto limitativo. La questione è che non si doveva arrivare al punto di dover richiamare alla base un aereo decollato. I diritti, le tutele, le coperture garantite da uno status professionistico avrebbero senza alcun dubbio reso meno complicata la gestione dell’attuale situazione risoltasi nel buonsenso della salvaguardia della salute.

Ciò che è rimasto tale, e che anzi si è anche sviluppato ad una velocità forse mai prima riscontrata, è il valore delle protagoniste. Se il calcio femminile in Italia è quello che è oggi lo si deve maggiormente alle interpreti che nel corso degli anni hanno perseguito un obiettivo con dedizione, guadagnando la nobile ma bistrattata fama di sognatrici. Sacrosanto è riconoscere loro l’audacia che le ha contraddistinte ma non si deve incorrere nell’errore di voler loro imputare tutta la responsabilità di un universo che dovrebbe custodirle e non sperare che siano sempre la sprezzante locomotiva.

L’ultimo mondiale ha messo in vetrina molti pezzi da novanta della nostra scuola calcistica, non c’è quindi da stupirsi se su di loro si son posati occhi esteri che possono mostrare come biglietto da visita assistenza e futuro.

Benché il vento del professionismo soffi sulla penisola bisogna ancora vedere quanta forza per trattenere le ambizioni abbia. È il paradosso della Gioconda: nessuno ci deve rendere il quadro più famoso del mondo visto che fu lo stesso Leonardo a portarla in Francia togliendolo al paese dove l’arte scorre ma la gente non ha mai sete.

“Dilettanti mondiali”, un anno dopo, a campionato concluso. Con una classifica parziale che dovrà avvalersi di algoritmi, calcoli e differenze reti. Ha vinto l’apprezzamento, che però non basta più, alla coesione delle atlete.

Cosa abbiamo perso non facendo fronte comune? Un’occasione.

Marialaura Scatena
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Foto: Stefano Guidi/Getty Images

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